mercoledì 31 marzo 2010

SPUTA IL ROSPO

In Australia è scattata la caccia al rospo. Le “prede” saranno trasformate in portafogli, guanti da golf o concime, o destinate alla ricerca. Si tratta degli “odiati” cane toads, i rospi della canna, una delle piaghe d’Australia, una tonnellata dei quali è il bottino del secondo giorno di caccia, il Toad Day Out, tenutosi domenica 28 marzo in Nord Queensland. Centinaia di volontari si sono nessi all’opera nel tentativo di contenere l’impatto degli anfibi, che hanno lasciato una scia di distruzione da quando sono stati introdotti 75 anni fa. Circa 10 mila sono stati catturati registrati e poi soppressi congelandoli o chiudendoli in sacchi di plastica pieni di ossido di carbonio. Molti sono stati affidati a imbalsamatori per farne souvenir. Vi è stata una grande partecipazione di famiglie e sono stati assegnati premi per il maggior numero di rospi catturati e per l’esemplare più grande: quasi 600 grammi. “Dato che una femmina può deporre circa 20 mila uova alla volta, il bottino di ieri potrà avere un impatto significativo”, ha detto il deputato locale Shane Knuth, animatore dell’iniziativa. I rospi (Bufo marinus) furono introdotti dal Sudamerica negli anni ‘30 nel fallimentare tentativo di controllare dei parassiti della canna da zucchero. Si sono da allora moltiplicati fino a oltre 100 milioni, dimostrandosi fatali per il delicato ecosistema, uccidendo milioni di animali nativi. I rospi, infatti, sono velenosi ed uccidono gli animali che li mangiano come i serpenti e i piccoli coccodrilli.

martedì 30 marzo 2010

FISCHIO FINALE

I team europei sono sull'orlo del baratro. Con casi limite come il Manchester che ha debiti per 800 milioni. Ma anche Inter e Milan non reggono più. Non c'è bisogno di essere delle Cassandre per vaticinare il prossimo crac del sistema del calcio europeo. Da anni i ricavi non coprono i costi e le spese sostenute per il parco-giocatori hanno una peso determinante sul segno finale dei conti societari. I club passano di mano da un patron all'altro, ma i soldi in circolazione non sono più quelli degli anni d'oro. Il sistema del pallone non ha trovato - e non sembra nemmeno cercare - una nuova sostenibilità, che deve passare necessariamente per il fair play finanziario: vale a dire regole uguali per tutti gli operatori, il mercato dei calciatori ridimensionato su valori più in linea con l'attuale situazione economica, e soprattutto parametri finanziari più rigidi, pena l'esclusione da campionati e trofei internazionali. Un messaggio che, più volte, il presidente della Uefa, Michel Platini, ha inviato ai numeri uno dei grandi club, senza mai ricevere un cenno di adesione. Negli ultimi anni tutti i top team hanno continuato a crescere in termini di fatturato, grazie a sponsorizzazioni sempre più importanti, alla partecipazione a tornei di lusso in terre esotiche e alla diffusione dei diritti media sia in ambito domestico che internazionale. Ma, a fronte di questo incremento nei ricavi, i debiti hanno continuato a crescere, per una gestione poco lucida del cash flow e anche perché si è ritenuto che il sistema finanziario potesse venire incontro a chi è capace, comunque, di produrre reddito. Peccato, però, che le società che generano utili hanno utilizzato questi soldi per ripagare il costo dei tassi d'interesse su un debito in continua crescita. Il sistema del calcio europeo insomma è a un passo dal collasso e molti patron sono stanchi di depauperare i propri patrimoni personali o familiari. Il Manchester United di Malcolm Glazer, il club più ricco al mondo per valore economico complessivo, ha tirato un sospiro di sollievo solo dopo essere riuscito, nelle ultime settimane, a ristrutturare il proprio debito con un'operazione finanziaria di tutto rispetto, mai tentata prima da un club di calcio. Grazie infatti all'emissione di un bond da 500 milioni di sterline della durata di sette anni (progetto curato dalla banca d'affari JP Morgan e da Deutsche Bank) i campioni d'Inghilterra pagheranno, nelle prossime stagioni, meno interessi sul totale dei debiti. Un maquillage finanziario che potrebbe non essere sufficiente, costringendo alla fine l'attuale proprietà a passare la mano al migliore offerente. Nell'ultima stagione i Red Devils hanno messo a segno un risultato positivo di bilancio solo grazie alla cessione dell'asso Cristiano Ronaldo, venduto per 90 milioni di euro al Real Madrid, altrimenti altri 38 milioni di euro di perdite si sarebbero aggiunti allo stock già pesantissimo di 800 milioni di debiti. Altri club inglesi hanno pensato di utilizzare un sistema più semplice, ovvero convertire il proprio indebitamento in azioni. Il Chelsea ha trasformato l'esposizione finanziaria che aveva nei confronti del suo stesso proprietario, il magnate russo Roman Abramovich (pari ad oltre 900 milioni di euro di debiti), in nuove azioni. In pratica Abramovich ha azzerato quasi un miliardo di debiti rimettendoceli dal suo patrimonio personale. Il Chelsea è una società che perde, ogni anno, decine di milioni di euro e, senza un freno alle spese, nell'arco di poche stagioni si ritroverà di nuovo con un'esposizione finanziaria elevatissima. Una situazione insostenibile anche per un tycoon del calibro di Abramovich. Situazione simile l'ha vissuta più recentemente il Manchester City, acquistato dalla famiglia reale di Abu Dhabi, che ha quasi azzerato l'indebitamento trasformandolo in azioni, sulla scia dell'operazione del Chelsea: ma, ogni anno, il secondo club di Manchester continua a produrre perdite ingenti. L'Arsenal, altro storico team della Premier league inglese, ha emesso obbligazioni garantite dagli incassi dell'impianto sportivo (l'Emirates stadium) per finanziare i propri debiti. Un'operazione di cartolarizzazione importante e forse eccessiva per il mondo del pallone, anche perché si continua a spostare avanti nel tempo la soluzione di un annoso problema: quello dei costi dei salari dei giocatori e dei trasferimenti degli stessi. Al momento, se non ci fossero dei patron pronti a vedere il proprio portafoglio prosciugarsi, alcuni dei più importanti marchi calcistici europei sarebbero già falliti.

lunedì 29 marzo 2010

IL VERME DELLA MORTE

Dicono che sia lungo un po’ meno di cinque piedi, che sia di colore rosso intenso e che assomigli all’intestino di una mucca. Dalla sua bocca uscirebbe un liquido giallognolo molto velenoso che darebbe una scossa elettrica in grado di uccidere un cammello. E’ il verme della Morte Nera, che vive nel deserto del Gobi, in Mongolia. Il nome latino è Allghoi khorkhoi, ed è stato scoperto per la prima volta dal paleontologo americano Roy Chapman Andrews nel suo libro “On the trail of Ancient man” nel 1926. La creatura è talmente misteriosa che non esiste una foto dell’animale. Nel 2005, una spedizione di scienziati inglesi effettuarono una spedizione di un mese nel deserto del Gobi in cerca del leggendario animale. Ma non trovarono nulla.

domenica 28 marzo 2010

C'E' VITA DOPO LA MORTE? SI, CON LA CRIOCONSERVAZIONE

Quello dell'ibernazione non è più soltanto un espediente narrativo (ricordate Mel Gibson in Forever Young?) al contrario diventa una realtà sempre più diffusa. I costi, ancora elevatissimi, pongono un freno naturale alla domanda ma nei prossimi anni si prevede un ulteriore boom di richieste, in attesa che scienza e medicina compiano altri miracolosi progressi. Tra i corpi congelati, ci sarà anche quello di un italiano. C'è vita dopo la morte? C'è chi sostiene di sì, ma non dal punto di vista affascinante che ci offrono religioni e filosofia, piuttosto da un'ottica prettamente scientifico-tecnologica. L'ibernazione, in questi casi meglio definita con il termine "crioconservazione" viene già utilizzata in medicina durante interventi chirurgici particolarmente delicati (soprattutto durante operazioni di cardio e neurochirurgia), vengono trattati così anche gli organi espiantati a donatori e non da ultimo viene utilizzata per la conservazione di spermatozoi e embrioni umani. Quest'ultima applicazione nasce da un'idea del fisiologo italiano Mantegazza il quale, a metà Ottocento, ipotizzava di conservare il seme dei soldati impiegati in guerra. Neve e ghiaccio non erano però adatti allo scopo. In tempi più moderni (anni '60 del secolo scorso) è stato impiegato l'azoto liquido. Il centro Alcor Life Extension Foundation, in Arizona, è il più grande impianto al mondo in cui si pratica la crioconservazione, ovvero il congelamento dei corpi, scelto da defunti facoltosi in attesa che la scienza e la tecnologia riescano ad invertire il processo che li ha portati nel mondo dei più. Il sangue viene sostituito da una soluzione che non ghiaccia quando il corpo viene portato alla temperatura di -196 gradi centigradi, ma tutto questo non basta. Il professor Merkle, responsabile del centro Alcor, spiega che la ricerca punta sulle nanotecnologie, considerate la chiave per la restituzione della vita ma, allo stato attuale, si è piuttosto lontani dal momento in cui queste possano essere efficaci allo scopo. Ma arriverà il momento in cui l’uomo sarà in grado di "riparare" i corpi, sempre secondo Merkle entro il 2050 quella che oggi è fantascienza potrà essere realtà. Il costo del congelamento di un corpo si attesta attorno ai 150mila dollari americani (110mila euro) e, prevede il responsabile della Alcor, nel 2060 la crioconservazione sarà talmente diffusa da fare crollare i prezzi. Nel frattempo sono centinaia i corpi congelati, in attesa che il progresso faccia il proprio decorso e oltre mille sono le prenotazioni. Tra queste un avvocato italiano, ancora in vita, che nel 2003 ha firmato un contratto con il centro Alcor, affinché il suo corpo venga congelato. La fantascienza lascia largo alla scienza, resta da risolvere la questione etico-morale, resta da affrontare l’aspetto religioso della controversa questione. Intanto business, scienza e tecnologia avanzano.

sabato 27 marzo 2010

CHI SONO I GUARANI?

Quando gli Europei arrivarono in Sud America, circa 500 anni fa, i Guarani furono uno dei primi popoli ad esser contattati. All’epoca contavano oltre un milione e mezzo di persone. Oggi ne sopravvivono poche decine di migliaia. In Brasile vivono oggi circa 46.000 Guarani, in sette stati diversi. Sono il popolo indigeno più numeroso del paese. Altri gruppi vivono nei paesi vicini: Paraguay, Bolivia e Argentina. I Guarani brasiliani sono suddivisi in tre gruppi, di cui quello dei Kaiowá è il più numeroso (sono circa 30.000). Gli altri due gruppi sono i Ñandeva e gli M’byá. Vivono nello stato del Mato Grosso do Sul, nella zona centro-occidentale del Brasile, ai confini con il Paraguay. Un tempo, i Guarani brasiliani occupavano circa 350.000 chilometri quadrati di foreste e pianure; oggi vivono invece ammassati in anguste porzioni di terra circondate da allevatori di bestiame e vaste piantagioni di canna da zucchero e soia. Alcuni gruppi sono rimasti completamente senza terra e vivono accampati ai margini delle strade. I Guarani Kaiowà sono i discendenti di quegli indigeni che, alla fine del ‘600, rifiutarono di entrare nelle missioni dei Gesuiti. Nonostante secoli di contatto con gli stranieri, hanno mantenuto la loro peculiare identità. Sono un popolo profondamente spirituale. Molte comunità hanno una casa di preghiera comune e un capo religioso, il pajé, la cui autorità dipende solo dal suo prestigio e dalla sua autorevolezza. Sebbene siano suddivisi in gruppi, i Guarani condividono una religione che attribuisce un’importanza suprema alla terra, origine e fonte della vita, e dono del “grande padre” Ñande Ru. Sin da quando possono ricordare, i Guarani sono sempre stati alla ricerca di una terra senza dolore, o “Terra senza Demonio”, in cui le anime possono riposare in pace dopo la morte. Raggiungere questo luogo è per loro importantissimo
Invia una lettera di protesta al governo brasiliano.

venerdì 26 marzo 2010

INVOLUZIONE PACHIDERMICA

Davanti a un branco di elefanti così numeroso, intento nelle abluzioni quotidiane in una delle pozze del parco, stiamo attanti a non fare il minimo rumore. Non dobbiamo disturbarli. Soltanto dopo alcuni minuti, però, ci rendiamo conto che tutti gli individui del branco, giovani e adulti, hanno la stessa e inattesa caratteristica: nessuno esibisce le zanne. È un'immagine strana, decisamente innaturale, considerando che nell’immaginario collettivo sono proprio le zanne a rappresentare l'elefante. Eppure, sempre più spesso, nei parchi africani accade di incontrare pachidermi privi dei mitici denti. Nell'Addo Elephant National Park, in Sud Africa, poi, la percentuale si avvicina al 100%. Per capire questo puzzle biologico è fondamentale conoscere la storia del parco. Agli inizi del 1900 la regione dell'Eastern Cape era una roccaforte per gli elefanti, ma in breve tempo il diffondersi dell'agricoltura estensiva alterò l’habitat in modo irrimediabile. Un solo cacciatore professionista nell'arco di un anno sterminò 120 esemplari, soprattutto i più belli e i più forti. Fortunatamente, prima che il massacro fosse totale, il governo decise di preservare gli ultimi 11 superstiti, istituendo nel 1931 l'area protetta Addo. E da allora la popolazione degli elefanti è lentamente cresciuta, fino a 450 individui su un'area protetta di 164 mila ettari, che sarà presto estesa a 360 mila. Una ricerca dell'Università di Port Elizabeth ha scoperto che, quando una popolazione subisce una drastica riduzione, va incontro all’«effetto a collo di bottiglia». Questo comporta a sua volta una deriva genetica, vale a dire un cambiamento evolutivo indipendente dalla selezione naturale. Così si assiste al prevalere di un carattere che in passato era geneticamente recessivo. In questo caso, appunto, la mancanza delle zanne. L’altro interrogativo, però, riguardava le femmine: perché quasi tutte sono interessate dal «fenomeno»? E’ noto che le zanne crescono costantemente nell'arco della vita dell'elefante e la loro dimensione determina la posizione gerarchica degli individui all'interno del branco. La femmina con il paio di zanne più grandi, di solito, diventa la matriarca e gioca un ruolo determinante nella scelta delle altre femmine. Sono proprio le sue grandi zanne ad attirare i cacciatori di trofei e, ogni volta che una «leader» viene uccisa, un altro individuo - ma di rango inferiore - deve prenderne il posto. Questa nuova matriarca avrà zanne sicuramente meno sviluppate o potrebbe addirittura esserne priva. Una volta che l'equilibrio genetico viene alterato, il processo continua e sconvolge il vecchio equilibrio. Ecco perché, di recente, il South Africa National Parks - l'ente sudafricano per i parchi - ha deciso di introdurre nell'Addo un gruppo di individui provenienti dal Parco Kruger nel tentativo di rinnovare il «pool» di Dna. Ma non si tratta di un compito semplice. L’assenza di zanne, infatti, è un fenomeno sempre più diffuso in tutta l'Africa: nel Parco del Nord Luangwa, in Zambia, la percentuale tocca il 38%, mentre nel Queen Elizabeth National Park, in Uganda, la percentuale è già del 15%. Tassi notevoli, se si considera che, di norma, la «cifra» naturale si attesta intorno al 2%. Non è un caso trovare questi esemplari soprattutto nelle aree di confine dei Paesi più segnati da disordini politici e guerriglia, in cui è più forte il bracconaggio delle popolazioni locali, quasi sempre scatenato per pure ragioni di sopravvivenza. Ma c’è anche la caccia al trofeo, mai veramente passata di moda tra i ricchi occidentali: sono disposti a spendere anche decine di migliaia di euro per poter tirare una fucilata a qualche animale. E a fare il resto ha provveduto la recente riapertura della commercializzazione legale dell'avorio decisa dalla «Cites», la convenzione internazionale che regolamenta il commercio di fauna e flora in pericolo di estinzione. A raccontarmelo è Kerri Rademeyer, direttrice dell'organizzazione «Conservation Lower Zambesi» (www.conservationlowerzambezi.org): solo nel 2008 sono state ritrovate 45 carcasse di elefanti, uccisi dai bracconieri all'interno del Parco Nazionale Lower Zambesi, in Zambia. La facilità di accesso e l'impossibilità da parte dei rangers di monitorare l'area per mancanza di automezzi permette a piccoli «commandos» di scegliere in tutta tranquillità gli esemplari con le zanne più grandi e di abbatterli. La strage, quindi, è in pieno svolgimento. Un esempio è il caso di Nairobi. Il Kenya wildlife service ha bloccato all'aeroporto un maxi-carico di 61 zanne del peso di 532 chili, che stavano per prendere il volo per Bangkok. Il tempo sembra essere tornato indietro. Ricomincia una battaglia che sembrava essere stata vinta già negli ormai lontani Anni 80.

giovedì 25 marzo 2010

RINASCE IL MITO DEL SUBBUTEO

Davide contro Golia. Da una parte una piccola azienda italiana, a conduzione familiare, sette dipendenti e dall’altra il colosso americano Hasbro, numero due del mondo, 4,07 miliardi di dollari il fatturato 2009. In mezzo c’è il Subbuteo, il calcio da tavolo che negli Anni Sessanta faceva giocare 10 milioni di appassionati in 50 Paesi. La «guerra» è quella del mercato. Nel 2005 i diritti di registrazione del vecchio Subbuteo sono scaduti e la Edilio Parodi Snc, sede a Manesseno di Sant’Olcese, nell’entroterra di Genova, ha lanciato una nuova versione del «calcio in miniatura», che ha chiamato «Zeugo» (in dialetto genovese, gioco). Versione che aveva ideato fin dagli Anni Novanta, ma soltanto a livello di hobby, e sulla quale oggi ha focalizzato il suo business. Sfidando sullo stesso terreno, i negozi di giocattoli, il colosso americano, che con il marchio originale (di sua proprietà) qualche anno fa aveva riproposto un nuovo Subbuteo con giocatori bidimensionali. Senza dimenticare il «vecchio», quello dei calciatori tridimensionali, ricomparso nel 2009 con una collana edita dalla Fabbri su licenza Hasbro e distribuita nelle edicole. Un passo indietro. Storia vuole che una prima forma del calcio da tavolo sia stata ideata dai marinai inglesi che, non potendo giocare a football sulle navi, fabbricarono, con il piombo, delle sagome di giocatori in miniatura: era la fine dell’Ottocento. La English Football Association commercializzò l’idea, ma il vero gioco prende forma nel 1929, sempre in Gran Bretagna, con il «New Footy» creato da W.L. Keeling, che poi venderà nel 1965 alla Subbuteo Sports Game, che nel frattempo conquistata il mercato col Subbuteo che conosciamo. La data di nascita dell’«originale» è il 9 agosto 1946, quando Peder Adolph, un impiegato del Kent con la passione per l’ornitologia brevetta una versione perfezionata del «New Footy», ideata nel garage di casa. E che battezza, dopo aver tentato col più generico «The Hobby», col nome scientifico del falco lodaiolo: (falco) Subbuteo. Nasce, così, la Subbuteo Sports Game, e la leggenda del «calcio in punta di dita». Avrà successo, tanto che nel 1968 il gruppo J. Waddington, sedi a Leeds e Londra, proprietaria del Monopoli, acquisisce il marchio e lo diffonde. Il Subbuteo sfonda anche in Italia, dove tocca l’apice negli Anni Settanta e Ottanta. Poi, comincia il declino. Intanto la Subbuteo Sports Games Ltd passa nel 1996 al colosso americano Hasbro. E la Edilio Parodi? «Siamo stati sin dal 1971 importatori del Subbuteo in Italia. Mio padre Alfredo ha contribuito al suo successo, proponendo squadre, accessori» racconta Arturo Parodi, titolare della Snc genovese col fratello Giovan Battista. «Ma nel ‘97 la Hasbro interrompe il rapporto con tutti i distributori. Così, ci siamo trovati all’improvviso senza lavoro». Seguono cause legali, ma nulla da fare. Finché nel 2000 il gigante Usa annuncia lo stop alla produzione del Subbuteo, surclassato nei sogni dei bambini delle nuove generazioni dai videogiochi. I Parodi ottengono ancora dalla Hasbro di produrre il Subbuteo in Italia dal 2002 al 2003, poi gli americani li fanno fuori definitivamente. E allora, parte la controffensiva: «Zeugo». «È una versione migliorata, di qualità. I giocatori dipinti a mano, la pallina che gira meglio, le porte più robuste». La confezione costa 50 euro, 10 una squadre: a catalogo ce sono già 200, comprese le Nazionali dei Mondiali del Sudafrica. «I papà fanno da traino, poi i bambini si appassionano». E la concorrenza dei videogiochi? «Il giocattolo tradizionale è manualità, socialità. Ai miei figli di videogame non ne ho mai comprato uno».

mercoledì 24 marzo 2010

POTERE ASSOLUTO

Pasquale, volontario della Protezione Civile, non è mai apparso sugli schermi televisivi. È un accanito video-amatore e con le sue riprese celebra le attività di volontari come lui e altre iniziative culturali. Sotto le tende dell’Aquila ha commemorato l’amico responsabile dell’Associazione Nuova Acropoli, soccorritore di esperienza internazionale, perito sotto le macerie del 6 aprile 2009. La Protezione Civile per Pasquale è una seconda famiglia. Ammira Bertolaso come uomo del fare, uomo dell’efficienza, che “non si perde in chiacchiere”. Difficilmente accetterebbe di essere deluso da lui. In molti possono testimoniare quanto Pasquale ha fatto per le tendopoli dell’Aquila. Ha speso i 10 mila euro raccolti per fornire le tende di comodini per la biancheria altrimenti destinata a giacere nelle buste. Li montava coinvolgendo i ragazzi del campo in una catena di piccoli operai improvvisati. Per le donne carenti delle tendopoli ha reclutato delle parrucchiere volontarie e inoltre dedicava il tempo libero ad ogni eventuale necessità segnalata nelle tende. Con la caparbietà che lo distingue ha fatto installare nel proprio paese due container in pianta stabile come punto di riferimento della Protezione Civile. Marco, ingegnere, ex insegnante in pensione, dopo il bluff mediatico di Berlusconi, che in televisione annunciava, da Poggio Picenze, la riapertura delle scuole, rispondeva subito all’invito delle colleghe aquilane in difficoltà per i tanti ragazzi senza insegnanti nelle tende di Bagno e di Pianola. L’ingegnere coinvolgeva altri amici pensionati o colleghi in servizio che mettevano a disposizione il “giorno libero” e insieme riattivavano le scuole per alcuni mesi. Pasquale e Marco non sono “eroi” come Berlusconi e Bertolaso. Appartengono a quelle migliaia di volontari accorsi da tutta Italia che amano “fare”, lontani dalle stanze dei bottoni e dalle luci della ribalta. Essi amministrano solo le proprie forze. Ora scoprono, amaramente, che le grandi risorse sono riservate alla “cricca”, il famoso Dipartimento della Ferratela, come rilevano finora gli inquirenti e testimoniano le intercettazioni riferite dagli organi di stampa. Già l’11 aprile 2009 Balducci partecipa ad una riunione tecnica “col dottor Letta” per fare il punto sugli interventi di somma urgenza. Nelle oltre 20 mila pagine dell’inchiesta. Si parla di tracce “che portano direttamente a Palazzo Ghigi”. Bertolaso intanto, superato il primo momento di evidente smarrimento per le accuse a lui mosse, riprende la consuetudine di sfilare per le zone disastrate, col codazzo di giornalisti e telecamere al seguito, e continua a presentarsi come perenne, indispensabile risolutore dei problemi. Vuole ricostruire l’immagine dell’uomo dalle imprese sovrumane. Aver posto il Paese sotto un commissariamento non limitato alle sole emergenze, è stato un rischio prevedibile ma calcolato. Fare presto e bene è un obiettivo difficilmente contestabile ma gli esperti sanno che costruzioni realizzate in 10 mesi non possono offrire le stesse garanzie di quelle per le quali normalmente è richiesto un tempo superiore. C’è da sperare che lo stesso criterio non venga impiegato per il restauro dei monumenti e delle opere d’arte che richiedono l’assoluto coinvolgimento degli esperti. La “competenza” dovrà risultare prioritaria. Da quanto riportato dall’Espresso, Italia Nostra ha denunciato l’assenza della volontà politica di far rinascere la città , di salvare ciò che resta del patrimonio culturale. Pier Luigi Cervellati, fondatore della scuola italiana di architettura di restauro urbano, parla di “ricostruzione tradita”. I capitelli, i confessionali in noce, resti di organi antichi e affreschi giacciono ancora sotto i detriti , esposti alle intemperie. La gestione d’emergenza “ha escluso totalmente gli architetti locali che conoscono storia, forme e materiali, che tiene all’oscuro i cittadini e perfino i proprietari. Per restaurare bisogna selezionare e conservare ciò che resta”. Un lavoro da esperti che non può svolgere nemmeno il più bravo volontario della Protezione Civile. Dopo gli scandali molti prendono coscienza che il ferreo dirigismo efficientista alla Bertolaso, da troppi esaltato, contrasta col principio della democrazia in cui controllo e trasparenza sono d’obbligo per il rispetto delle regole. Se l’efficienza della Protezione Civile negli interventi di emergenza è unanimemente riconosciuta, altrettanto doveroso si ritiene da parte dello Stato il controllo sulle risorse impiegate tramite gli organismi di competenza. Con le “ordinanze”, volutamente, si sono sommate nella persona di Bertolaso le figure del controllore e del controllato. In modo del tutto inconsueto, il Supercommissario ha avuto nelle mani un potere eccezionale: politico, come sottosegretario, e amministrativo, come capo del dipartimento di un ufficio pubblico. Il potere assoluto, diceva Lord Acton, genera corruzione assoluta. Perfino la Confindustria ha condannato la totale discrezionalità degli appalti senza trasparenza affidati al capo della Protezione Civile. Ad una burocrazia elefantiaca, che spesso nel nostro Paese paralizza ogni procedura ed è unanimemente deprecata, la risposta dello Stato non può essere la “ricetta Bertolaso” ma la semplificazione delle norme esistenti. Nel capoluogo abruzzese il Supercommissario ha normalmente escluso da ogni decisione le autorità locali. A Comuni e dipendenti è stata negata la partecipazione nell’individuare eventuali siti maggiormente idonei per la costruzione delle case o alternative più valide, meno costose, meno invasive del tessuto ambientale, e riservare così le maggiori risorse per la ricostruzione. Si sarebbero evitati i costosi agglomerati abitativi prefabbricati, voluti da Berlusconi, destinati a divenire quartieri dormitorio, senza centri aggreganti, lontani dai luoghi di lavoro e dalle scuole, con enormi disagi per coloro che vi risiedono. Non solo gli appalti della Maddalena ma anche le nuove case stanno creando problemi al capo della Protezione Civile. Berlusconi e Letta si affannano a difendere Bertolaso mettendo le mani sul fuoco spento delle menzogne ma gli imprenditori della cordata Anemone hanno dichiarato che “Balducci ha avuto carta bianca per usare le sue imprese, per non fare neanche la gara di appalto... Verrà un paio di milioni di euro, in dieci mesi è roba buona per noi”. Il Gip parla di: ”Un sistema di potere forte, collaudato, insidioso, in grado di inquinare gli appalti e la concorrenza tra imprese, messo in piedi da persone senza scrupoli pronte, con le macerie ancora calde, a buttarsi sul denaro per la ricostruzione del martoriato Abruzzo”. Dopo aver rivendicato per sé tutti i meriti dell’emergenza terremoto, presenziando ad ogni cerimonia all’Aquila e altrove, chiamato a rendere conto delle gravi accuse rivolte ai vertici del suo Dipartimento, il capo della Protezione Civile ammette candidamente: “Qualcuno può aver tradito la mia fiducia ma non ho elementi per sostenerlo... io non ho seguito direttamente e personalmente la vicenda degli appalti”. Delle irregolarità ci sarebbero state, confessa, ma sono sfuggite al suo controllo. Delle due l’una: o il Commissario è un colluso reticente o tradisce una ingenuità che nessuno mai gli avrebbe attribuito. Non è certo l’eroe dei due mondi: delle Emergenze e dei Grandi Eventi. La magistratura dimostrerà se la famiglia di Bertolaso è coinvolta nel “sistema gelatinoso della cricca”, ma il dubbio risulta legittimo se è vero che suo cognato, Francesco Piermarini, è stato impiegato nei cantieri della Maddalena ed è in stretto rapporto con Diego Anemone”, l’imprenditore in carcere. La stampa riferisce che detto cognato e la moglie di Bertolaso sono stati negli ultimi anni molto attivi nel formare società che poi tempestivamente scioglievano. Società messe su in occasione di conferenze e convegni, di grandi manifestazioni, di noleggio di imbarcazioni e altro…E’ certo tuttavia che al Salaria Sport sono stati avallati dalla Protezione Civile (!) 160 mila metri cubi di lavoro realizzati sul greto del Tevere, dove è vietato costruire. Tutto senza documenti: in deroga. I magistrati scrivono che i quattro indagati e Bertolaso “costituiscono una catena di comando omogenea ed efficiente”. Tutto questo non è sufficiente a “dimostrare” la sua colpevolezza e spetterà alla magistratura stabilirlo, è sufficiente però per mettere in dubbio la figura del Bertolaso uomo fedele allo Stato, che ama gli italiani al di là di personali interessi. Nel passato i Commissari responsabili di simili disastrose emergenze non potevano avvalersi di una Protezione Civile efficiente né di un corpo dei Vigili del fuoco ammodernato nei mezzi, tuttavia riuscirono ugualmente a far fronte alle necessità con apprezzabile tempestività. Grazie al generoso contributo dell’esercito e dei volontari, la spina dorsale di ogni soccorso immediato. Nel 76, in Friuli, senza dispendio eccessivo di denaro e nella massima trasparenza, il ministro Zamberletti costruiva casette economiche provvisorie (non come quelle dell’Aquila costate 2700 euro al metro quadro!). Le maggiori risorse furono riservate per la ricostruzione. Il motto del Commissario era il ritorno “a come eravamo, dove eravamo”. Quelle casette non compromettevano definitivamente il territorio. Dopo lo scandalo anche all’Aquila si costruiranno (al prezzo di 650 al metro quadro) abitazioni simili per ospitare gli altri 1300 circa nuclei familiari ancora dispersi negli alberghi o in altri alloggi. Il Ministro Zamberletti non agiva da solo, né con un piccolo entourage di “fidati”: si avvaleva di esperti sotto il controllo di organismi dello Stato, ai quali puntualmente rendeva conto ogni tre mesi. Nel terremoto in Umbria 4000 container diedero una soluzione immediata all’emergenza senza sprechi di denaro né contestazione di nuove aree abitative occupate. La paventata trasformazione della Protezione Civile in Spa, per fortuna non arrivata in porto, avrebbe fatto del Dipartimento un ramo operativo del tutto libero da controlli, sottratto alla revisione della Corte dei Conti e dell’Autorità per i Lavori Pubblici. Una cuccagna per nuovi speculatori, carta bianca per Bertolaso e la “cricca”. Tale supposizione è legittimata dalle intercettazioni finora a disposizione. L’accentramento delle risorse a livello di vertici ha privato Regioni i Comuni italiani di finanziamenti e strutture per far fronte ad ogni calamità incombente sul luogo. Gli enti locali possono contare solo sulla generosità di volontari del posto. Alla Protezione Civile va affidato (se già non è così) il compito di “prevenire” oltre che arginare i danni delle grandi sciagure e calamità. Motivazioni prettamente politiche attribuivano al Dipartimento la gestione dei (cosiddetti) Grandi Eventi... quali l’esposizione delle spoglie di S. Giuseppe da Copertino e di Padre Pio, il Congresso eucaristico internazionale di Osimo o circostanze simili. Accostare tali manifestazioni alle calamità naturali sarebbe oltretutto blasfemo! La recente inchiesta dell’Espresso denuncia gli sprechi di un G8 d’oro, costato oltre mezzo miliardo di euro tra i fondi spesi per la Maddalena e quelli per il vertice dei Grandi all’Aquila. Il neo Commissario presidente della Regione, Gianni Chiodi, figurerebbe come supplente nel collegio sindacale di una ditta fornitrice di mobili ma autentico scandalo hanno suscitato gli affari accertati della figlia di Gianni Letta, Marina, e del marito Roberto Ottaviani. Alla loro società, Relais du jardin, che supera i 20 milioni di fatturato annuo, sono affidati i servizi catering dei summit internazionali, dei grandi eventi, compresi i servizi della Protezione Civile a cui il catering del G8 dell’Aquila è costato un milione e 65 mila euro, versati alla Relais. “Stupore e rabbia”per questo aumentano tra i terremotati se si pensa alle persone che sono ancora senza casa e che, con tutta probabilità, dovranno ricominciare a pagare le tasse. Nel 1917, due anni dopo il terribile terremoto che colpì la Marsica e rase al suolo la città di Avezzano, Ignazio Silone scriveva che la ricostruzione rappresentava per i sopravvissuti un male peggiore del sisma, a causa del dilagare della corruzione, delle speculazioni, degli scandali. Lo scrittore abruzzese, cantore dell’epopea dei “cafoni” del Fucino in rivolta, lasciava tristemente intuire che la sua terra non si sarebbe liberata di altri corrotti, dei nuovi Don Circostanza mai sconfitti dalla Storia. I terremotati dell’Aquila, come i fontamaresi, si sono chiesti “Che fare?” e domenica 28 febbraio hanno occupato la zona rossa del centro storico, per riappropriarsi simbolicamente della città. Fontamara perdura nel tempo. Ci sono state polemiche riguardo alla nuova Casa dello studente per l’assegnazione dei posti letto e per l’affidamento della gestione alla Curia Diocesana. La Casa è stata finanziata dalla regione Lombardia e costruita sui terreni della Diocesi che ne entrerebbe in possesso definitivo fra 30 anni. I finanziamenti provenienti da fondi pubblici sono, per definizione, destinati a favore dei cittadini, secondo precise normative, senza discriminazione alcuna. La Chiesa, da parte sua, è chiamata a non possedere nulla per se stessa. Nell’assegnazione dei posti non si pretenderanno “tessere” di appartenenza, discriminatorie dei bisognosi. E’ contro l’insegnamento di Cristo. Diderot fa dire ad un suo personaggio che “non basta fare il bene, bisogna farlo bene”.

martedì 23 marzo 2010

LA ISLA DE LAS MUNECAS

"Così come una perla nasce dal difetto di una conchiglia, la schizofrenia può far nascere opere incomparabili. E co­me non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così di fronte alla forza vitale di un'opera non pensiamo alla schizo­frenia che forse era condizione della sua nascita". Genio e Follia di Karl Jaspers

Xochimilco è un suggestivo sobborgo residenziale di Città di Messico, ricco di lunghi canali navigabili e di meravigliosi giardini semigalleggianti. Un posto del mondo ricco di luminose Bougainville, pullulante di pesci tropicali, farfalle e uccelli iridescenti, mistico, sereno e fuori dal tempo. Ma l’atmosfera cambia repentinamente quando si arriva a l’ “Isla de las Munecas” ( l’Isola delle Bambole). Un lembo di terra inquietante e affascinante, un santuario surreale dal quale lo sguardo abbraccia centinaia di bambole, rovinate dagli anni e dagli influssi atmosferici, appese agli alberi o poggiate su enormi pietre disposte come altari. Ad accogliere e a raccontare la storia dell’isola ai visitatori è il nipote di Julián Santana Barrera, l’uomo che, nel corso di diversi anni, ha pazientemente realizzato una bizzarra installazione. Chi ha conosciuto da vicino Julián Santana, noto anche come La Coquita, lo descrive come un personaggio pittoresco, geniale e analfabeta allo stesso tempo. L’Isla de las Munecas nasce, intorno agli anni sessanta, da una sorta di ossessione che portò Julián Santana più volte in questa zona lagunare nel corso degli anni, all’inseguimento di qualcosa di indefinito: uno spirito senza pace, da calmare. Molte fonti locali (cronache e memorie) raccontano che sull’isola era morto un bambino, inghiottito dalla laguna che non aveva mai più restituito il corpo. La tragedia aveva sconvolto gli abitanti del luogo dando origine ad una triste leggenda: lo spirito del bambino era rimasto sull’isola, condannato ad errare senza pace fin a quando il suo corpo non avesse trovato sepoltura. A quel punto Julián Santana decise di intervenire personalmente per calmare lo spirito del bambino, dando vita ad una sorta di operazione artistica che, correndo sul filo della follia, consisteva nel riempire la zona di bambole. Non appena si sparse la voce arrivarono giornalisti e troupe televisive. Tutti volevano conoscere Julián Santana, il genio psicotico. Oggi l’Isla de las Munecas è diventata una meta che attira molti turisti e la leggenda dello spirito senza pace lievita alla lettera su un’altra leggenda: sono in molti a credere che le bambole dell’isola abbiano proprietà taumaturgiche. E’ una storia incredibile in cui fonti e leggenda si mescolano in un’eredità che ha assunto un significato per tanta gente. L’isola evoca immagini e reazioni differenti che dipendono dal rapporto che l’osservatore ha con le bambole. Alcuni provano tristezza, altri repulsione, altri ancora stupore. Qualunque sia la reazione, le possibilità fotografiche sono illimitate.

lunedì 22 marzo 2010

FATTI A POL POT

Dopo aver ammesso i "gravi errori di calcolo" compiuti dal governo francese durante il genocidio in Ruanda nel 1994, il presidente Nicolas Sarkozy potrebbe doversi ripetere per ciò che attiene la condotta politica dell'Eliseo durante la rivoluzione dei Khmer Rossi in Cambogia nel 1975. Un'inchiesta, iniziata nel 1999 ma interrotta nel 2007 per un problema di competenza giuridica, sarà infatti riaperta nei prossimi mesi dal tribunale di Créteil per determinare in che modo diverse figure del regime rovesciato dagli uomini di Pol Pot furono catturate nonostante si trovassero sotto la protezione dell'ambasciata francese a Phnom Penh. I fatti. Si svolsero all'indomani della presa della capitale cambogiana da parte dei Khmer Rossi avvenuta il 17 aprile 1975. Dopo aver capitolato di fronte all'invasione rossa, centinaia di persone si nascosero all'interno della sede diplomatica per scampare alle deportazioni forzate. Fra i rifugiati c'erano anche il principe Sirik Matak, due guardie del corpo, la principessa Manivann con la figlia, il genero e sei bambini piccoli, il ministro della Sanità Loeung Nal e il presidente dell'Assemblea Nazionale Ung Boun Hor. Tutti loro, nonostante la protezione sarebbe dovuta essere garantita da Parigi, finirono nelle mani dei khmer rossi e, successivamente, uccisi. Testimoni raccontano che le jeep dei miliziani arrivarono a prenderli fino al cancello della sede diplomatica francese e che due militari in borghese li scortarono per assicurarsi della buona riuscita dell'operazione. Il caso Boun Hor. È basato su una fotografia, che ancora oggi non porta firma, nella quale l'ex presidente del Parlamento viene ritratto insieme a Georges Villevieille e Pierre Gouillon, due militari di stanza in Cambogia, mentre sembra essere bloccato da questi ultimi per essere consegnato con la forza ai colonnelli di Pol Pot. Intervistati prima della chiusura del dibattimento nel 2007 i due ex membri dell'esercito francese avrebbero reso due testimonianze differenti. Secondo Villevieille la foto sarebbe stata scattata il 17 aprile, giorno dell'arrivo delle personalità politiche, e Boun Hor fu circondato perchè al suo ingresso in ambasciata fu colto da una crisi di nervi. Per Guillon, invece, l'immagine si riferisce alla data della partenza e la forza si rese necessaria perchè, ha raccontato l'ex militare, "Ung Boun Hor non voleva andare. Egli doveva aver sospettato ciò che gli sarebbe successo". A confermare la versione di Villevieille ci sarebbe pure l'uomo chiave dell'intera questione. La persona che per la stampa francese sarebbe il depositario della verità sull'accaduto. Jean Dyrac. Era lui il responsabile dell'ambasciata durante quei concitati giorni d'aprile. Le cronache raccontano che il diplomatico non fu assolutamente all'altezza del compito affidatogli: affrontare la crisi e salvare le vite dei rifugiati. I khmer rossi non erano ancora stati riconosciuti dal governo francese e si rifiutarono pertanto di considerare l'ambasciata come un territorio neutro da rispettare. Il messaggio era semplice: se la Francia non avesse consegnato loro i rifugiati, essi avrebbero fatto irruzione e se li sarebbero presi con la forza. L'incartamento giudiziario sul caso, al vaglio degli inquirenti dal 1999, raccoglie una ventina di telegrammi dai quali si apprende di una vera e propria crisi che, in quelle ore, coinvolse le istituzioni francesi. Il presidente della Repubblica era Valery Giscard D'Estaing, capo del governo Jacques Chirac. A entrambi Dyrac spiegò, dopo diverse corrispondenze, la tragicità della situazione dettata dall'ultimatum lanciato dai khmer rouge di consegnare la lista completa dei nomi dei rifugiati all'interno dell'ambasciata: "Senza un ordine immediato ed espresso del dipartimento disporrò di dare asilo politico. Dovrò entro un periodo che non deve essere superiore a ventiquattro ore, fornire i nomi di queste personalità. Rispondete al telegramma in modo chiaro: Sì, se devo consegnare. No, se devo astenermi". Alle 18 e 10 del 18 aprile partì da Parigi la risposta che Dyrac non avrebbe voluto ricevere: "Si prega di preparare una lista di nomi di cittadini cambogiani che sono nei locali dell'ambasciata, per essere pronti a comunicare elenco al termine imposto". Una freddezza burocratica che, altrettanto freddamente, avrebbe condannato uomini, donne e decine di bambini a morte certa. In calce al documento, oltre il cognome del segretario generale del ministero degli Esteri Geoffroy Chodron de Courcel, anche due sigle PR e PM. O, più chiaramente, Presidente della Repubblica e Primo Ministro.

domenica 21 marzo 2010

ULTIMISSIME SALUTE

IL CIOCCOLATO AIUTA A PREVIENE L'ICTUS
Mangiare cioccolato aiuta a prevenire l'insorgenza di ictus. A rilevarlo e' stato uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Universita' di Toronto (Canada) e presentato in occasione del meeting annuale dell'American Academy of Neurology che si e' tenuto a Toronto. Lo studio ha coinvolto 50mila persone circa. Dai risultati e' emerso che coloro che mangiano cioccolato, 44.489 persone, hanno il 22 per cento di probabilita' in meno di soffrire di un ictus. Non solo. Un secondo studio ha rilevato che 1.169 persone che hanno mangiato 50 grammi di cioccolato una volta a settimana avevano il 46 per cento in meno di probabilita' di morire a seguito di un ictus rispetto alle persone che non mangiavano cioccolato. Questo perche', secondo i ricercatori, il cioccolato e' un alimento ricco di 'flavinoidi', un potente antiossidante. Ora lo scopo degli scienziati e' quello di scoprire se i supplementi possono servire nella prevenzione degli ictus. "E necessaria piu' ricerca", ha sottolineato Sarah Sahib che ha coordinato lo studio, "per determinare se il cioccolato abbassi veramente rischio di ictus, o se le persone sane siano semplicemente piu' propense a mangiare cioccolato rispetto alle altre".
ATTENZIONE AI VECCHI ANTISTAMINICI
Gli antistaminici H1 di vecchia generazione usati come farmaci antiallergici potrebbero essere pericolosi per la salute. Almeno questo e' quanto emerso da un nuovo rapporto pubblicato sulla rivista 'Allergy' e riportato dal notiziario europeo 'Cordis'. Stilato da esperti della Rete europea globale per le allergie e l'asma (GA2LEN) e dell'Accademia europea di allergologia e immunologia clinica (EAACI), il rapporto si chiede se sia giusto che gli antistaminici H1 siano ancora disponibili come medicinali da banco. Il rapporto afferma che gli antistaminici H1 di prima generazione -la terapia piu' diffusa per patologie quali la rinite allergica- attualmente da banco siano legati a numerosi problemi di salute e sociali. Secondo il rapporto, se confrontati con i nuovi antistaminici H1, i farmaci piu' vecchi risultano essere peggiori. Sono legati a una miriade di problemi: disturbi del sonno; minor rendimento sul lavoro e ridotta abilita' d'apprendimento; incidenti aerei, d'auto e navali causati da sonnolenza e persino la morte come risultato di overdose accidentale in bambini e neonati, nonche' suicidi. Visto che il 30 per cento della popolazione Ue e Usa fa uso o potrebbe farne di antistaminici H1, la relazione si chiede in definitiva se sia nell'interesse della salute pubblica che rimangano disponibili come farmaci di automedicazione. Gli antistaminici sono in uso da oltre 50 anni per curare allergie tra cui riniti (infiammazione delle membrane nasali comunemente conosciuta come febbre da fieno), orticaria e dermatite topica (eczema). Vengono in genere distinti in prima e seconda generazione: i primi hanno un effetto piu' sedativo che porta sonnolenza, effetto collaterale significamente ridotto nei secondi. Un'allergia e' una forte risposta immunitaria a un antigene (allergene). Gli stessi allergeni sono spesso sostanze innocue e comprendono acari della polvere, polline o forfora animale (piccole scaglie che si distaccano dalla cute o dai peli umani o animali). Le reazioni allergiche si verificano quando si ha una reazione esagerata a un allergene che causa risposte che vanno occhi che lacrimano o naso che cola a sintomi seri come lo shock anafilattico. Per il rapporto la nuova generazione di antistaminici si e' dimostrata piu' affidabile ed efficace nella cura delle allergie e i pazienti hanno avuto meno effetti collaterali. GA2LEN e' una rete di eccellenza finanziata dall'Ue che ha ricevuto 14,4 milioni nell'ambito dell'area tematica 'Qualita' e sicurezza alimentare' del Sesto programma quadro. La rete riunisce partner da 26 istituti di ricerca con sede nell'Ue tra cui Eacci e Federazione europea delle associazioni di pazienti affetti da allergie (Efa). Si occupa di ricerca multidisciplinare per migliorare le conoscenze scientifiche dei meccanismi delle allergie e armonizzare la ricerca europea. -
LE SIGARETTE ELETTRONICHE CHE NON RILASCIANO LA NICOTTINA
Le sigarette elettroniche non rilasciano affatto nicotina come 'promesso' dalle case produttrici. E' il risultato di uno studio pubblicato dalla rivista 'Tobacco control', secondo cui la quantita' di questa sostanza effettivamente rilasciata dai dispositivi e' pari a quella che si avrebbe 'aspirando una sigaretta spenta'. I ricercatori della Virginia Commonwealth University hanno sottoposto 16 persone a quattro differenti sessioni: in una dovevano fumare la loro marca di sigarette preferita, in altre due invece due tipi diversi di sigarette elettroniche e nell'ultima aspirare da una sigaretta spenta. Misurando il tasso di nicotina nel sangue dei fumatori dopo ogni sessione e' emerso che non c'era nessuna variazione di rilievo dopo aver fumato i dispositivi elettronici, nonostante invece questi vengano pubblicizzati come un metodo per il rilascio di questa sostanza al pari di gomme da masticare o cerotti. "I consumatori hanno il diritto di aspettarsi che un prodotto che si sostiene rilasci un farmaco funzioni come promesso - ha spiegato Thomas Eissenberg, che ha coordinato lo studio - il nostro studio invece dimostra che non solo le sigarette elettroniche non rilasciano la quantita' di nicotina promessa, ma non ne rilasciano affatto".
UNA CAUSA GENETICA ALLA BASE DELLE BALBUZIE
Una ricerca recente rivela che alla base della balbuzie potrebbe esserci un difetto genetico. Lo studio, che compare recentemente sulla rivista New England Journal of Medicine è stato realizzato da un’equipe di ricercatori del National Institute on Deafness and Other Communication Disorders statunitense, che ha esaminato un vasto gruppo di pazienti provenienti da diversi paesi, tra i quali Pakistan, Stati Uniti ed Inghilterra. Tra questi i ricercatori hanno scoperto che uno su dieci presentava appunto una mutazione genetica in tre diversi geni. Due di questi, denominati GNPTAB e GNPTG sono già comparsi nella ricerca medica perchè ritenuti collegabili a due gravi malattie metaboliche. Queste, note come Malattie da Accumulo Liposomiale, si manifestano con l’incapacità di un enzima di metabolizzare i grassi che quindi si accumulano nell’organismo causando problemi in diverse parti del corpo.Le persone che hanno questo difetto genetico in duplice coppia sviluppano il disturbo metabolico, mentre, quando esso è presente in una sola coppia, potrebbe invece essere un fattore scatenante della balbuzie. Nell’esame dei pazienti con balbuzie i ricercatori hanno inoltre individuato un terzo gene difettoso, che invece non era presente nei pazienti sani di un gruppo di controllo. Per centinaia di anni, sostengono i ricercatori, la causa della balbuzie è rimasta un mistero, sia per i pazienti che per medici e scienziati. Questo studio è il primo a gettare una luce sulle possibili cause genetiche, e, nella speranza dei ricercatori, i risultati potrebbero essere di aiuto nella sperimentazione di nuove terapie. Per curare il disordine metabolico causato dai geni difettosi per esempio, si inietta l’enzima nel sangue, e questo va a sostituirsi a quello difettoso prodotto dall’organismo, sopperendo così alla sua inefficacia. Lo stesso meccanismo, suggeriscono gli autori dello studio, potrebbe essere sperimentato per valutare se è efficace anche contro la balbuzie.
IL SOLVENTE ASSOCIATO AL PARKINSON
L’esposizione al tricloroetilene, un solvente industriale, aumenta il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson di almeno sei volte.
E’ quanto stabilito da una recente ricerca condotta negli Stati Uniti, da ricercatori del Parkinson’s Institute di Sunnyvale, il primo studio in grado di quantificare l’incidenza del rischio, ed ultimo di una serie di lavori che sugli animali avevano già verificato tale fenomeno. Se la genetica, è provato, gioca un ruolo determinante nello sviluppo del morbo di Parkinson, secondo i medici ci sono anche fattori ambientali che hanno una loro importanza. Il tricloroetilene, identificato anche dall’acronimo TCE, è un solvente un tempo ampiamente utilizzato come detergente, ed in alcuni casi anche come anestetico, in special modo durante il parto. Il diffondersi della preoccupazione sulla sua presunta tossicità hanno fatto si che esso non venisse più utilizzato e fosse sostituito da altri solventi ed anestetici. Dopo alcune segnalazioni sull’incidenza del Parkinson in lavoratori a contatto con la sostanza sono stati eseguiti studi sugli animali, grazie ai quali si è scoperto che questa uccide le cellule cerebrali che producono la dopamina in un’area del cervello, la materia grigia, che è proprio quella che viene colpita dal morbo di Parkinson. Non solo, ma il TCE danneggia nella stessa area anche i mitocondri, gli organismi cellulari il cui compito è quello di fornire energia ed alimentazione alle cellule, nel cervello e nelle altre parti del corpo. I ricercatori hanno valutato l’associazione tra tricloroetilene e Parkinson su 99 gemelli, veterani della seconda guerra mondiale, uno studio comparativo che voleva individuare come mai uno dei due gemelli aveva contratto il Parkinson e l’altro no. Raccogliendo le esperienze di vita e di lavoro degli esaminati e sottoponendo la totalità dei partecipanti ad uno studio a doppio cieco da parte di un esperto di igiene industriale ed uno di medicina preventiva, i ricercatori hanno verificato che, se per alcune sostanze, come xilene e toluene non si registrava un rischio maggiore di Parkinson, quelli esposti al tricloroetilene risultavano invece avere una probabilità di 5,5 volte maggiore di contrarre la malattia. Quelli esposti al tetracloroetilene, conosciuto con l’acronimo di PERC, risultavano addirittura aver un rischio di 8 volte maggiore. Anche se la significatività statistica risultava inferiore anche il tetracloruro di carbonio incideva per 2,8 volte in più. Coloro che risultavano esposti al TCE avevano storie lavorative in determinati ambianti e con determinate mansioni, tintorie, macchinisti, elettricisti e meccanici. La ricerca si è basata su un campione relativamente piccolo, non sufficiente per valutare compiutamente l’incidenza di questo fenomeno su una popolazione più ampia. Per questo motivo i ricercatori stanno approntando un database di più grandi dimensioni che permetta loro di affinare i risultati dello studio e precisare meglio quanto e come questa sostanza chimica influisca sullo sviluppo del morbo di Parkinson.

sabato 20 marzo 2010

GIOIA E OTTIMISMO ACCRESCONO IL SISTEMA IMMUNITARIO

Il dottor Robert Ader, uno dei fondatori della psiconeuroimmunologia, ha scoperto che esso può essere allenato nello stesso modo in cui Pavlov addestrò i suoi cani a produrre saliva al suono di una campanella. L'esperimento consisteva nel dare ai cani della carne in polvere, che faceva venire loro l'acquolina in bocca. Ma siccome Pavlov accompagnava la somministrazione della carne coi rintocchi della campana, presto gli animali si misero a produrre saliva solo al sentirla suonare. Tutto ciò si chiama condizionamento classico. Ader e il suo collega, l'immunologo Nicholas Cohen, dimostrarono che se ai topi veniva somministrato un farmaco immunodepressivo insieme a del succo di mela, in seguito avrebbero subito gli effetti del farmaco non appena assaggiato il succo anche in assenza del farmaco stesso. Ma i topi potevano essere sottoposti anche a farmaci che miglioravano il sistema immunitario, un procedimento al quale erano altrettanto sensibili. Riflettiamo adesso sulle possibili implicazioni di un simile apprendimento condizionato. Mettiamo che un capoufficio, un ex coniuge o una qualunque situazione vi abbiano causato una notevole quantità di stress cronico; a qualsiasi accenno relativo alla situazione stressante, i vostri neuropeptidi (neurotrasmettitori presenti non solo nel cervello ma, per esempio, anche nell'intestino e in alcuni linfociti) e il sistema nervoso autonomo mandano segnali di disagio. La facilità con cui si può condizionare il sistema immunitario è un ottimo motivo per praticare l'arte del perdono, in modo da potersi lasciare alle spalle vecchi stress anziché tenerseli dentro una vita intera. Allo stesso modo in cui le sensazioni di gioia e unione con il prossimo possono migliorare il sistema immunitario, così anche le immagini dei nostri cari o di bei paesaggi, oppure i pensieri positivi, possono mantenerlo in ottima forma. McClelland ha svolto affascinanti ricerche sulle immagini interiori che nascono dalle nostre più profonde motivazioni, ovvero dai nostri valori, e che condizionano il funzionamento del sistema immunitario. Per stimolare specifici pensieri relativi a certe motivazioni McClelland usa in laboratorio la visione di films. Una pellicola sul Terzo Reich, ad esempio, aumenta la motivazione al potere; per trovare un film che potesse stimolare la spinta all'amore McClelland propose agli studenti di Harvard la visione di un documentario su Madre Teresa. Il professore decise di usare una semplicissima misurazione immunitaria: il tasso di secrezione nella saliva di un anticorpo chiamato sIgA. Al pari di un guardiano il sIgA protegge le porte del corpo dall'invasione di batteri, virus e parassiti. Deficienze di questo anticorpo dovute a stress intenso o a pensieri negativi provocano una proliferazione batterica delle gengive, detta piorrea alveolare, deterioramento dentale e infezioni dell'apparato respiratorio come raffreddori e influenza. Agli studenti venne chiesto di sputare in delle provette sia prima prima che dopo la visione del filmato. Gli studenti scrissero poi delle storie in risposta alle immagini osservate, in modo che il professore potesse comprendere il tipo di pensieri che erano alla base delle loro motivazioni. Risultò che il film aveva aumentato sia i pensieri di amore incondizionato sia il tasso di secrezione del sIgA. A conferma di questi dati si è osservato che il livello di sIgA degli studenti che avevano visto il film sul Terzo Reich erano notevolmente diminuiti. Tutto ciò a conferma del potere della mente e della possibilità di intervenire dall'interno sul nostro benessere psicofisico. Dunque attenzione ai films che vediamo, ai libri che leggiamo, a tutto ciò di cui si nutre la nostra mente.

venerdì 19 marzo 2010

FORZA TORO

Mentre nel parlamento catalano è in corso un acceso dibattito sulla possibile abolizione della corrida, la Comunidad di Madrid (governata dal Partido Popular), seguita a ruota da Valencia, ha deciso oggi di dichiararla ”bene di interesse culturale”, come riferisce l’edizione online di El Mundo.La misura decisa dalla regione della capitale ”è collegata” al dibattito in corso in Catalogna. Il parlamento regionale di Barcellona, infatti, deve decidere entro l’estate se abolire o meno, localmente, la corrida. Ieri è iniziata una serie di audizioni parlamentari con esperti e testimonial del mondo ‘taurino’ e del fronte abolizionista, tra i quali la lotta è senza esclusione di colpi e il dibattito, spesso, sopra le righe.I deputati catalani hanno iniziato le audizioni di 30 esperti e testimonial dei due fronti, che dureranno fino alla settimana prossima. Il ‘Parlament’, spaccato sulla questione, ha dichiarato ricevibile in dicembre, per pochi voti di scarto, l’iniziativa di legge popolare della Piattaforma animalista Prou! (Basta!), per l’abolizione della corrida in Catalogna.L’iter sul disegno di legge è ora formalmente avviato, il voto finale è previsto entro l’estate. Gli abolizionisti fanno appello anche al sentimento ‘catalanista’ contro un’istituzione ’spagnola’. Se vincera’ il sì, la Catalogna sarà la prima regione della Spagna continentale ad abolire la ‘Fiesta’. L’impatto in tutto il Paese sarebbe enorme.Il dibattito nel ‘Parlament’ è iniziato con toni altamente emotivi. Il filosofo Jesus Moserin ha contestato l’appello al rispetto di una grande tradizione spagnola con un parallelo fra la corrida (definita ”un sintomo di scarso sviluppo intellettuale’) e mutilazioni genitali alle donne, suscitando una bufera. La scrittrice Espido Freire, dal canto suo, ha paragonato ”la catarsi dei tori” agli episodi in cui ”due ragazze attaccano un’altra per picchiarla e filmano la scena con un cellulare”. Il fisico Jorge Wagesberg, arrivato in aula con coltelli da torero e banderillas, è così intervenuto: ”Non fanno male? Certo che fanno male” ha detto spiegando l’effetto delle lame quando penetrano nella carne e nei muscoli, la stoccata finale che arriva al cuore e ai polmoni facendo morire il toro ‘’soffocato dal proprio sangue”. Il fronte ‘taurino’, invece, ha fatto appello soprattutto a una visione romantica della tradizione iberica.”La Fiesta è spettacolo di vita, di morte, di rispetto, valori che si stanno perdendo in questa società”, ha detto l’ex torero Joselito: ”è come il primo amore, nel quale c’è crudelta’ e sofferenza, ma che non per questo va abolito”.

giovedì 18 marzo 2010

MA CHE ORE SONO?

Si è spento l'orologio biologico delle renne. Questi animali non hanno bisogno del giorno e della notte perchè vivono in un habitat, l’Artico, dove o è ininterrottamente giorno o ininterrottamente buio, quindi il loro il corpo non riconosce più l’alternanza giorno/notte, cioè ha perso le funzioni (ormonali per esempio) regolate dai ritmi giornalieri luce/buio. E quanto dimostra una ricerca pubblicata sulla rivista Current Biology da Andrew Loudon della University of Manchester. Secondo gli autori è plausibile che anche altri animali che vivono in zone climaticamente così impervie hanno abbandonato l’orologio biologico che assicura a tutti i mammiferi una corretta alternanza non solo dei ritmi sonno/veglia, ma anche più in generale di tutte quelle funzioni biologiche che hanno una cadenza periodica, per esempio la produzione di certi ormoni. L’orologio biologico è una struttura neurale molto importante: il suo funzionamento è assicurato dall’oscillazione di "lancette molecolari", ovvero geni che si accendono e spengono ritmicamente. Contrariamente a quanto per intuito si è indotti a pensare l’orologio interno del corpo, che ha una periodicità di circa 24 ore, resta in grado di tenere il segno del tempo anche se i ritmi luce/buio sono alterati e distorti. Una delle sue funzioni è regolare le oscillazioni ormonali tra cui quella della melatonina, un ormone che viene prodotto ciclicamente la cui quantità aumenta di notte. Eppure nelle renne la periodicità interna della produzione di ormone melatonina è persa, inoltre anche i geni lancette la cui attività dovrebbe oscillare in modo periodico, non seguono alcuna periodicità. Secondo gli autori, dunque, le renne sono venute a capo in modo ingegnoso del problema di vivere in un luogo così impervio: hanno deciso di disinteressarsi del giorno e della notte.

mercoledì 17 marzo 2010

EUROSTAR O NEUROSTAR?

Viaggiare in treno? E' un percorso dalla durata incerta, talvolta a tappe se il convoglio ha un guasto, e ricco di sorprese non proprio piacevoli. Che sia un superveloce, una 'freccia' come si chiamano adesso, o un treno pendolari, chi crede di aver risolto il problema del viaggio dopo aver acquistato il biglietto ha poca esperienza della situazione delle nostre ferrovie. A confermarlo sono le prime segnalazioni (già un centinaio) giunte negli ultimi giorni a 'Neurostar', il database delle proteste dei viaggiatori realizzato da L'espresso (Leggi qui tutte le segnalazioni). A scorrerli, i commenti dei viaggiatori esasperati, rassegnati, amareggiati, si incontra un bollettino di guerra. Che fa poca differenza, per una volta, tra Nord e Sud e persino tra treni rapidi, di ultima generazione, intercity e treni pendolari dall'età incerta. Scrive un viaggiatore di prima classe su un Intercity Metaponto - Roma Termini: "Carrozza di prima classe sporca con il tessuto delle poltrone sporco e strappato". Replica un altro in viaggio, sempre in Intercity, tra Milano e Pisa: "Guasto in stazione nei pressi di Arquata con ritardo di 30' circa" e ancora "con porta aperta in un tratto del tragitto". Su un Frecciargento da Roma a Bari una signora, incinta, va in cerca della toilette "facendo lo slalom tra tantissima gente senza biglietto che occupava il corridoio" e quando finalmente arriva al bagno, si rende conto che è "una latrina". Sulla tratta del Frecciarossa Milano Roma, che dovrebbe essere la punta d'eccellenza delle nostre Ferrovie, ne succedono di tutti i colori. Un passeggero segnala "il treno causa un guasto tecnico si è fermato per 90 minuti, circa 15 minuti dopo la partenza da Milano", un altro lamenta un "ritardo di venti minuti tra Firenze e Bologna", ma il rimborso del supplemento scatta dopo un'ora di ritardo e quindi pazienza. La vita di chi usa i treni regionali per andare al lavoro, poi, è quasi una poesia futurista: "fodere dei sedili inesistenti su quasi tutto il vagone con conseguente gomma interna esposta. Insetti morti puzza riscaldamento inesistente". Altri versi da un utente esasperato in viaggio su un regionale tra Brescia e Milano: "Il treno alla seconda fermata era già pieno e chi è salito a quelle successive non ha potuto non dico sedersi ma ha avuto difficoltà anche solo a respirare". E qualcuno pensava che bastasse aver comprato, e timbrato, il biglietto.

martedì 16 marzo 2010

LA CRISI SPEGNE IL SORRISO

La crisi economica, facendo 'dimagrire' i portafogli, 'spegne' anche il sorriso degli italiani. Da un'estesa indagine dell'istituto di ricerche di marketing Key-Stone, specializzato nel settore della salute e benessere, emerge infatti la difficile situazione dei laboratori odontotecnici dove si registra una vera e propria debacle per la richiesta di interventi e cure, a partire da ponti, corone e dentiere. Con un calo per il 2009 che raggiunge le due cifre: -15%. E per numerosi laboratori, soprattutto i più piccoli, non rimane che la chiusura. L'indagine è stata svolta su un campione rappresentativo di 650 laboratori odontotecnici, che denunciano nella stragrande maggioranza dei casi un vero e proprio crollo nella produzione di protesi odontoiatriche fisse e mobili.
-PROTESI -15%, SI RINUNCIA A CURA DENTI SOPRATTUTTO AL SUD: Un milione di dentiere e circa 5 milioni di elementi di protesi fissa (corone e ponti), di cui oltre il 70% fabbricati con la più estetica ceramica. Questo il 'consumo' di protesi degli italiani nel 2009. Ed è intorno al 15% il calo nella produzione di protesi odontoiatriche nel 2009. Il problema si fa sentire maggiormente nelle regioni meridionali: è infatti il Sud Italia a far registrare la crisi più profonda, con un -17% nella produzione di protesi. Nel Nord Ovest il calo minore, attestato intorno al -12%.
-ALLARME PER PICCOLI LABORATORI ODONTOTECNICI, MOLTI CHIUDONO: Il fenomeno di riduzione ha riguardato circa il 60% dei laboratori odontotecnici, in particolare quelli più piccoli e artigianali, sui quali si è misurato un picco di -22%. Si è così accentuato il fenomeno della chiusura dei laboratori odontotecnici che, secondo statistiche europee, sono calati del 10% in pochi anni. Resistono invece i laboratori più evoluti, attrezzati con innovative tecnologie informatiche come la tecnologia 3D per la progettazione e produzione di protesi, che hanno retto alla crisi evidenziando un calo minimo del -4%.
-PER 2010 PREVISIONI NON ROSEE: Non è roseo lo scenario neppure per il 2010, affermano gli esperti. Si prevede infatti una ulteriore riduzione di pazienti e minori preventivi di spesa più importanti, che riguardano per l'appunto la protesi. Questo, rilevano gli specialisti, considerando che il sistema odontoiatrico italiano, essendo per una parte consistente privato, fa sì che per la protesi si debba attingere alla capacità di risparmio delle famiglie. E, molto spesso, proprio la protesi dentale è una spesa sostitutiva di altre riguardanti la famiglia come, ad esempio, l'auto, gli arredi o i viaggi.

lunedì 15 marzo 2010

CURIOSANDO QUA' E LA'

WASHINGTON - La scossa di terremoto di magnitudo 8,8 che ha sconvolto il centro sud del Cile ha provocato lo spostamento della città di Concepcion di tre metri verso ovest. E' quanto è emerso da uno studio di scienziati cileni e americani diffuso dall'università dell'Ohio. Secondo gli stessi rilevamenti, Santiago del Cile, la capitale del Paese, s'é spostata di 27,7 centimetri, sempre verso occidente. Il sisma del Cile è stato uno dei più forti rilevati da oltre un secolo.

CINA - Se lei è soprannominata la signora “unicorno” o “Devil Woman” (anche se, unicorno ha un suono molto più grazioso), Zhang Ruifang di Linlou, in Cina ha creato molto scalpore a causa della prominente e vistosa corna che spunta dalla sua testa. Una crescita strana, iniziatasi a sviluppare al 101-anno di età sulla fronte e alla fine germogliata in un lungo corno di sei centimetri . Ora, un altro corno sembra essere in via di sviluppo sul lato della testa. I medici ritengono che le crescite anomale delle corna potrebbe essere tumori cutanei, molto comuni nelle persone anziane.

MOSCA - Un uomo e' stato arrestato a S.Pietroburgo con l'accusa di aver ucciso la moglie e i figli di 4 e 5 anni iniettando una dose mortale di droga.L'uomo, un tossicodipendente di 32 anni con precedenti per spaccio, ha detto agli investigatori di aver ucciso i familiari su richiesta della consorte a causa della loro poverta'. La coppia, sempre secondo la sua versione, avrebbe prima fatto l'iniezione ai figli. L'uomo avrebbe poi ripetuto l'operazione sulla moglie e su di se' ma lui e' rimasto in vita.

VAL DI SUSA - Negli ultimi cinque anni i lupi sono ricomparsi nelle valli del Torinese. Ora però a sterminarli sono le auto, i camion e i treni piuttosto che le doppiette dei cacciatori. L’ultimo caso è accaduto il 3 marzo a Oulx, in val Susa: un podista che percorreva la statale 335 di Bardonecchia ha notato la carcassa di un animale semisepolta dalla neve a bordo strada. Come hanno accertato le guardie forestali, si trattava di un giovane femmina di lupo di 25 chili di peso. L’animale è stato falciato da un’auto mentre tentava di attraversare la statale. Secondo gli esperti la lupa faceva parte del branco segnalato più volte nei boschi sul versante sinistro della Dora Riparia, tra Salbertrand e Oulx, dove è presente una forte concentrazione di cervi – preda naturale dei lupi – scesi a valle a causa delle abbondanti nevicate. Il bilancio dal 2001 ad oggi sul territorio piemontese parla chiaro: sono infatti 21 i lupi trovati morti.

LONDRA - Buone notizie arrivano dal mondo della scienza e della salute. E’ stato scoperto infatti il gene che regola il battito cardiaco. La notizia è stata diffusa dell’equipe di scienziati britannici che sono riusciti a fare l’importantissima scoperta che apre nuovi interessanti spiragli nell’ambito delle malattie cardiache provocate dalle aritmie. Ora la speranza è che la conoscenza di quello che è stato soprannominato “gene pacemaker” faciliti la creazione di farmaci che combattano malattie cardiache ed infarti. Metà di questi, infatti, sono causati da seri problemi del ritmo cardiaco, come fibrillazioni ventricolari ed atriali. Il ritmo del cuore è controllato da segnali elettrici, che partono da un punto del cuore e attraversano l’intero muscolo. Un’equipe dell’Imperial College di Londra ha individuato il gene che controlla quei segnali e di conseguenza il battito: danni o mutazioni del gene – battezzato Scn10a – aumentano il rischio di malattie cardiache. La conoscenza di questo gene amplierà la conoscenza dei meccanismi che regolano la frequenza del battito, e di conseguenza aiuterà a sviluppare farmaci che lo regolino meglio. In pratica è stato identificato un gene che influenza il ritmo cardiaco: e persone con diverse variazioni avranno rischi maggiori o minori di sviluppare problemi di ritmo cardiaco. Ricordiamo che le malattie legate alle aritmie sono molto comuni, purtroppo, e la fasce di popolazione più colpita è quella maschile intorno ai 50 anni. Nello studio, che ha interessato 20.000 persone, gli scienziati hanno analizzato gli elettrocardiogrammi, misurando il tempo che i segnali elettrici impiegano per raggiungere le varie parti del cuore. Hanno quindi scoperto che variazioni del Scn10a erano associate con ritmi lenti o irregolari, o con un maggior rischio di fibrillazioni. Una nuova speranza per tutti coloro che soffrono di aritmia cardiaca e di malattie ad essa collegate.

MILANO - Greenpeace ha guardato dentro le scatolette di 14 marchi per valutare quanto è sostenibile la loro pesca. E ha trovato molte sorprese!Ben 11 finiscono “in rosso” perché non sono in grado di garantire la sostenibilità del proprio prodotto. Zero in pagella per MareAperto STAR, Consorcio e Nostromo. Meglio per Coop, ASdoMar e Mare Blu, le uniche che hanno adottato una politica scritta per l’approvvigionamento sostenibile. ASdoMar, inoltre, è uno dei pochi che, utilizza il tonnetto striato – specie considerata in buono stato – pescato con metodi sostenibili (lenza e amo). Il tonno in scatola è la conserva ittica più venduta, ma per pescarlo si usano metodi distruttivi come i palamiti e le reti a circuizione,che catturano accidentalmente altri pesci, come tartarughe e squali.

SYDNEY - Stare tanto in mare, si sa, annoia. Così i marinai della nave da guerra australiana "Success" hanno deciso di divertirsi un po', organizzando una gara hard a bordo dell'imbarcazione. Il tutto con tanto di classifica. Il massimo dei punti andava a chi riusciva a far sesso con una lesbica o una donna ufficiale, ma anche il luogo aveva la sua importanza. La Marina di Canberra ha scoperto tutto e ha aperto un'inchiesta. Per gli iscritti alla sfida hard, le regole erano molto chiare. La graduatoria veniva stilata in base ai punteggi. Una "botta e via" su un tavolo da biliardo valeva un bel po' di punti; azzeccare sia il nome della sedotta che il luogo dell'amplesso ancora di più, ma il massimo era riuscire a far sesso con una lesbica o una donna ufficiale. Al momento non è ancora chiaro quante persone abbiano preso parte alla gara a luci rosse, ma la singolare competizione è giunta alle orecchie dei vertici della Marina di Canberra, che ha deciso di indagare e porre fine alle chiacchiere che giravano attorno all'equipaggio della nave militare. Sfida e sfidanti saranno puniti. Questo è certo. Ora però occorre stabilire le responsabilità e chiarire tutto. Dalle indagini è emerso anche che alcuni marinai hanno minacciato le colleghe perché non testimoniassero nel procedimento aperto dalla magistratura. Un procedimento segnato da molte omissioni, prima tra tutte quelle del procuratore incaricato di indagare sui fatti e che dopo pochi mesi aveva deciso di archiviare l'incartamento perché non era riuscito a raccogliere prove e testimonianze a sufficienza. Del caso ora si occuperanno Douglas Campbell, e il nuovo inquirente, il giudice in pensione Roger Gyles . "C'è abbastanza materiale per arrivare a un processo e scoprire chi aveva organizzato, gestito e coperto il cosiddetto 'Libro mastro'", ha detto Gyles. Su un registro erano elencati i nomi delle donne a bordo della nave cisterna e accanto il loro valore in dollari. Ma la posta in palio aumentava se si riusciva nella seduzione nel luogo per il quale si era scommesso. Secondo gli inquirenti il "Libro mastro" (come era chiamato il "gioco" tra i partecipanti) è andato avanti per un anno ed è venuto alla luce solo nel novembre del 2009, durante una tappa della nave a Singapore. Finora l'unico provvedimento adottato è stata la sospensione di quattro marinai, ma il premier australiano, Kevin Rudd ha chiesto che venga fatta piena luce perché le donne non siano scoraggiate dall'unirsi alle forze armate.

DUBAI - Nuovi guai per una coppia britannica a Dubai. Charlotte Lewis e Ayman Najafi sono stati condannati ad un mese di prigione per essersi baciati e scambiati effusioni in un ristorante. Lo riferisce il Sun secondo cui i due sono stati denunciati da una madre che ha chiamato la polizia dopo che la figlia le ha segnalato l'atto in violazione della legge islamica. A gennaio un'altra cittadina britannica di 23 anni era stata fermata per aver fatto sesso con il fidanzato. La legge islamica, applicata peraltro con moderazione negli Emirati Arabi Uniti, vieta i rapporti prematrimoniali.

ROMA - Le stesse proteine responsabili della malattia della mucca pazza, i prioni, causano una malattia molto simile al morbo di Alzheimer, la forma più diffusa di demenza senile. La nuova malattia è stata osservata nei topi, ma per i ricercatori dei National Health Institutes (Nih) degli Stati Uniti la scoperta potrebbe portare a nuove terapie per curare l'Alzheimer nell'uomo. La ricerca, pubblicata sulla rivista PLoS Pathogens, è stata coordinata da Bruce Chesebro, dell'Istituto statunitense per le allergie e le malattie infettive (Niaid) che fa capo all'Nih. Il risultato è stato ottenuto per caso, mentre i ricercatori studiavano il modo in cui le malattie da prioni distruggono il cervello nei topi: anziché la degenerazione tipica delle malattie da prioni che rende il tessuto cerebrale simile a una spugna, i ricercatori hanno visto lesioni analoghe a quelle provocate dalla malattia di Alzheimer, con la formazione di depositi di sostanza amiloide nei vasi sanguigni cerebrali. La scommessa, adesso è trovare una sostanza capace di inibire la nuova forma di malattia da prioni. Questo significherebbe avere una nuova arma potenzialmente capace di ridurre i danni provocati dall'Alzheimer.
NEW YORK - Tassametri truccati a New York: in una truffa passata inosservata per almeno due anni, migliaia di tassisti newyorchesi hanno fatto la cresta sul prezzo della corsa frodando quasi due milioni di passeggeri di oltre otto milioni di dollari. L'annuncio della Taxi and Limousine Commission ha messo a rumore la Grande Mela conquistando la prima pagina del New York Times. Sono stati tremila i tassisti che per almeno cento volte ciascuno si sono fatti beffa degli ignari passeggeri cambiando segretamente il meccanismo del tassametro per una media di quattro o cinque dollari in più a corsa. L'inchiesta a largo raggio è stata aperta quando si è scoperto che l'anno scorso un tassista di Brooklyn, Wasim Khalid Cheema, aveva frodato ben 574 passeggeri nell'arco di un solo mese. La licenza di Cheema è stata revocata ma nel frattempo le autorità cittadine hanno scoperto che la pratica di far la cresta sul tragitto era ben più diffusa di quanto non si potesse immaginare.

domenica 14 marzo 2010

REGIONE DISTRUZIONE

La Regione Piemonte ha deciso di produrre il 20% del proprio fabbisogno energetico da fonti rinnovabili. Come vuol farlo? Attraverso la distruzione dei boschi. Per produrre energia saranno utilizzati ogni anno 2,2 milioni di metri cubi di legname, secondo le pazzesche norme della nuova Legge forestale regionale (L.R. 4/2009). Una legge in totale conflitto con le disposizioni di sostenibilità delle Risoluzioni approvate nelle Conferenze Ministeriali sulla protezione delle foreste in Europa. La Legge Attila/Bresso è stata approvata in modo bipartisan (e come poteva essere altrimenti?) sia dal PDL che dal PDmenoelle. In pochi anni parte dei boschi del Piemonte scompariranno, sia quelli pubblici che quelli privati. Infatti, secondo un comunicato del WWF: "Attraverso il meccanismo della gestione provvisoria associativa (L.R. 4/2009, art. 18), in Piemonte il taglio del bosco oggi può venir eseguito senza darne comunicazione diretta al proprietario. Se il proprietario vuole conservare il bosco, tocca a lui rincorrere le amministrazioni che ne deliberano il taglio e opporvisi; se non fa nulla si trova il bosco tagliato! La legna gli sarà pagata al valore reale di mercato, ma chi poi la utilizzerà come biomassa ne otterrà la supervalutazione, drogata grazie ai soldi pubblici, di cui si è detto sopra". I boschi sono un bene prezioso e sempre più raro, la quota pro capite di boschi dal 1861, anno della nascita dell'Italia, è dimezzata. I boschi dovrebbero essere trasmessi alle generazioni future. Distruggere i boschi per produrre energia elettrica è diseconomico, oltre che criminale. Il legno infatti ha un basso contenuto energetico CE, pari a circa un quarto di quello del gasolio. Perché la Regione Piemonte ha approvato una legge CONTRO la proprietà privata, CONTRO l'ambiente e CONTRO l'economia? Secondo il WWF: "La risposta sta in un sistema di incentivi eccessivi, che non ha eguali in altre Nazioni europee e non è accompagnato da un adeguato corollario di limitazioni. Manca la valutazione dei costi ambientali dell’attività, che dovrebbe essere, al contrario, vincolante nei processi decisionali. Ciò che ci si prepara a fare è una grossa speculazione economica, con effetti ambientali devastanti. Francesi, svizzeri e austriaci, nostri vicini lungo l’arco alpino, pur utilizzando i boschi regolarmente, non si sognano di produrre corrente elettrica da biomasse forestali, ma si limitano a sfruttare intelligentemente i residui di lavorazione del legno a fini termici. Se strapagassimo, al prezzo attuale del legname da opera, il legno che si progetta di bruciare in Piemonte in un anno, arriveremmo alla cifra di 58 milioni di euro. Nell’attuale mercato “drogato”, per utilizzare quello stesso legno e produrre energia, l’Amministrazione Pubblica verrà a spendere una cifra estremamente più elevata, che nessuno ha calcolato (o reso noto), ma di cui possiamo aver percezione se consideriamo le dichiarazioni rese dalla Regione: negli ultimi 5 anni sono stati destinati 300 milioni di euro per promuovere l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e, entro il 2013, sono previsti investimenti nel settore che raggiungeranno il miliardo di euro. Il dato è riferito alla generalità delle fonti rinnovabili, ma considerato che la Regione vuole ottenere il 60% dell’energia da biomasse forestali, è automatico che il grosso degli investimenti vada a finire in tale comparto. Per citare solo un esempio di voce di spesa correlata, si consideri che per le pratiche forestali in Piemonte è prevista la realizzazione di 2.000 chilometri di NUOVE STRADE FORESTALI e altrettanti Km necessitano di opere di manutenzione. Sono i soldi del cittadino, che sborsa per il kWh da biomasse circa il triplo del suo valore reale e che paga gli investimenti pubblici che sostengono la cosiddetta filiera del legno attraverso vari canali e organismi competenti: FESR, FAS, Fondo Sociale, Piano di Sviluppo Rurale (che finanzia agli agricoltori le centraline) Consorzi forestali, IPLA, UNCEM, Assessorati alla montagna e foreste, ecc..".
Ci stiamo autodistruggendo in silenzio. Siamo una razza in estinzione. Chi avesse ancora cuore e voce scriva una mail alla presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso: presidente@regione.piemonte.it



sabato 13 marzo 2010

SINESTESIA


La sinestesia è un fenomeno percettivo cioè riguarda il nostro modo di interrogare la realtà e di ricevere informazioni. Le sensazioni sono possibili perché il nostro organismo è predisposto a ricevere informazioni sotto forma di energia proveniente dal mondo esterno. La sensazione, che è propedeutica alla percezione, è possibile perché esistono nel nostro corpo dei “rilevatori di energia” che le scienze hanno chiamato sistemi sensoriali. Ogni sistema sensoriale è sensibile a una determinata forma di energia fisica. I nostri atti mentali, verbali e fisici hanno origine nella mente. Ogni volta che avviene un contatto fra gli organi di senso e gli oggetti esterni — come le forme visibili, gli odori, i suoni, i sapori e le sensazioni tattili — all’interno del corpo nasce una sensazione, da cui si originano reazioni che sono causa di nuove azioni. L’informazioni o stimoli presenti in natura sono molteplici o infiniti; l’uomo non è in grado di riceverli tutti, rischierebbe di rimanerne schiacciato, ma nel corso della sua evoluzione ha selezionato solo quelli utili alla sopravvivenza della specie. Nel tempo i sensi si sono specializzati a ricevere solo un determinato stimolo o energia (determinate frequenze sonore, onde di un certo tipo, alcune particelle chimiche). Ogni organo lavora separatamente raccoglie l’informazione che attraverso i nervi arriva al cervello dove avviene l’elaborazione. Tutte le informazioni sensoriali procedono dai recettori periferici, attraverso il sistema limbico (che funge da sistema di smistamento dati), fino a raggiungere la corteccia cerebrale. Come tutti sappiamo ogni informazione sensoriale viene elaborata in zone della corteccia differenti (es. le informazioni visive sono elaborate nella corteccia occipitale, mentre quelle auditive in quella temporale). In realtà la situazione sarebbe più complessa ma poco ci interessa approfondire in questa sede. Quello che invece è interessante è che, dopo una prima elaborazione corticale, l’informazione sensoriale unimodale viene inviata alle aree associative, tra cui quella situata nel sistema limbico. Il sistema limbico è quell’area del cervello direttamente coinvolta nella genesi delle emozioni e nei processi di memoria. E’ possibile dunque ipotizzare che ogni volta che io percepisco uno stimolo visivo questa percezione nel momento in cui giunge al sistema limbico attivi un circuito sottocorticale (e quindi inconscio) che associa il mio stimolo visivo ad altre informazioni sensoriali precedentemente memorizzate? Ovviamente questo varrebbe per tutti gli stimoli provenienti dalle altre modalità sensoriali.
LA SINESTESIA CONSISTE NEL COLLEGAMENTO DEI SENSI
Forse non siamo allenati a prestare attenzione a questi aspetti della nostra vita mentale. Può darsi che tutti noi viviamo quotidianamente esperienze simili ma non ce ne rendiamo neanche conto perché non siamo attenti ai segnali del nostro corpo. Un altro problema è che nella nostra società il vedere spesso corrisponde con il sapere e non ci si da il permesso di conoscere attraverso altri sensi. E pensare che invece tutti noi ci sviluppiamo attraverso una fase senso-motoria e tattile-cenestesica (Piaget) prima di sviluppare quella visiva. Noi creiamo la nostra mappa del mondo attraverso altri sensi e poi subentra la vista che tutto cancella. Paradossalmente è corretta l’affermazione che “la vista ci rende ciechi”. Ci rende sicuramente ciechi rispetto a tante altre informazioni sensoriali.
LO STUDIO
Lo studio della sinestesia è complesso e molto articolato. Il termine nasce alla fine dell’ Ottocento e trova luogo di diffusione e legittimità scientifica in Francia e in Inghilterra , per indicare un fenomeno percettivo umano molto particolare che riguarda l’incontro tra i vari sensi. Proprio in questo periodo nasce la psicologia sperimentale che inizia a dedicarsi a questa manifestazione percettiva che in sostanza esplicita interconnessioni tra i sensi. Theodore Flournoy (1854-1920) è tra i primi a studiare il fenomeno fornendo una rassegna sistematica: Un certo individuo, ad esempio, esperisce regolarmente una impressione di rosso quando sente il suono a. Un altro, pensando a un numero, non può impedirsi di figurarselo sempre come un punto determinato dentro una certa curva. Un terzo concepisce involontariamente il mese di febbraio sotto forma di un triangolo. Per un quarto il lunedì è un uomo abbigliato di blu. E così di seguito, senza che sia possibile scoprire nelle esperienze passate dell’individuo la causa di associazioni tanto barocche (Flournoy, 1893, p. 1). Il termine sinestesia deriva dal greco sin = συν (attraverso) estesia = αισθησίσ (percezione) ed indica una contaminazione dei cinque sensi nella percezione del percepibile. Più semplicemente indica quelle situazioni in cui una stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi. Nella sua forma più blanda è presente in molti di noi, basta pensare a quelle situazioni in cui il contatto o la presenza di un odore o di un sapore ci evoca un’altra reazione sensoriale (la vista della frutta che viene percepita anche come sapore) ed è dovuta spesso al fatto che comunque i nostri sensi, pur essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto isolata e distaccata dagli altri. C’è da dire che la parola sinestesia nel tempo ha assunto diverse accezioni.Una è quella che abbiamo definito sopra, intesa nella sua accezione tecnica di sindrome nella quale “ la stimolazione di un senso fa scattare automaticamente una percezione in una seconda modalità senza che questa sia stata stimolata direttamente”. Nell’Ottocento era indice di una forma deviante, una sindrome, genetica o acquisita, che caratterizza un numero ristretto di persone. Da molti considerata come una patologia. Nel Novecento continua in parte questa definizione del termine sinestesia , grazie anche alla psicologia cognitivista e comportamentista che hanno accantonato il problema perché ritenuto privo di fondamento scientifico. Solo negli ultimi vent’anni lo studio sulla sinestesia dà segni di ripresa, oggi è soprattutto la neuroscienza ad affrontare il problema. Un filone di ricerca indente la sinestesia come caratteristica specifica dell’uomo. La ricerca di Marco Mazzeo ( Storia naturale della sinestesia. Dalla questione Molyneux a Jakobson, Quodlibet, 2005) ad esempio avanza un’ipotesi estrema: che la sinestesia costituisca un tratto essenziale della natura umana, che ci distingue dalle altre forme viventi sia a livello percettivo che linguistico. La questione Molyneux potrebbe essere così la prima pietra di una nuova scienza dell’umano ancora da costruire. Herder riconosce nelle capacità sinestetiche uno degli spartiacque fondamentali tra ambiente animale e mondo umano; Mazzeo sottolinea il fatto che la specie umana sia quella più sinestetica all’interno del regno animale, in quanto la meno specializzata e la più generica e che lo scarto tra animali umani e non umani sia di natura percettiva e prelinguistica: gli Homo sapiens prima di qualsiasi attività verbale sono già in grado di effettuare trasferimenti sinestetici più complessi degli altri primati. Inoltre, costitutivo della nostra specie è un carattere di cronica immaturità (neotenia) che garantisce una plasticità biologica tale da consentire una ristrutturazione sensoriale ripetuta nel corso dell’ontogenesi. Mazzeo indaga più da vicino i rapporti tra sinestesia e linguaggio sottolineando l’importanza della parola per la percezione, come già messo in evidenza precedentemente da Leibniz e Diderot. Qui, però, la fondazione non è più a senso unico: sia la parola rafforza e amplia la tipologia delle connessioni sinestetiche, sia, viceversa, è la sinestesia che si pone come la condizione di possibilità stessa del linguaggio. E il luogo privilegiato in cui emerge il legame tra sinestesia e linguaggio è individuato nell’elemento creativo della metafora.
Segnalato da Thomas T. (Alessandria)