sabato 7 agosto 2010


ANCHE IL BLOG VA IN VACANZA, VI SALUTO E VI DO' APPUNTAMENTO AL PRIMO SETTEMBRE O GIU' DI LI.
BUONE VACANZE A TUTTI!


venerdì 6 agosto 2010

BUSINESS NO LIMIT

Vi piace Del Piero vestito come una Punto metallizzata? Che ve ne pare di Hernan Crespo che una volta indossava la divisa biancoceleste dell'Argentina e adesso - con la terza maglia del Genoa - non sa più se l'ha comprato il Pescara oppure se a Enrico Preziosi hanno rifilato uno stock di pigiami in saldo? E quelli del Bologna bardati di verde come zucchine (anche se fu la seconda divisa ufficiale dal 1925 ai primi anni '60)?. E quelli del Bari che hanno bizzarri inserti curvilinei rossi a sbaffo, un po' di qua e un po' di là? Di tutti i colori, veramente. La smania del merchandising - produrre sempre nuove divise per venderle ai tifosi che non possono restare indietro con le collezioni autunno/inverno - ha ormai rovesciato anche le regole più elementari. Tipo: Juventus contro Udinese, entrambe con le maglie a righe verticali bianconere, dunque una delle due (un tempo, gli ospiti) la deve cambiare. E che ti combinano, i doppioni cromatici? Cambiano tutte e due le divise, col bel risultato che la Juve indossa quella da trasferta, la non memorabile maglia color acciaio con banda trasversale bianconera, mentre l'Udinese sceglie il completo giallo pompelmo, una tonalità già raccapricciante di suo, non fosse che nell'occasione fa pure a pugni col pallone, giallo anch'esso. Nell'intervallo, arbitro e guardalinee parlottano tra loro e convengono che sì, quella palla si vede male perché si confonde con i giocatori dell'Udinese. Da quale pulpito, però: la terna arbitrale sfoggia infatti la raccapricciante divisa fuscia elettrico, lucida e orrenda come un incubo postmoderno. Arbitri colorati come pennarelli, centravanti estratti dalla cesta del verduriere, terzini vittime del delirio creativo di qualche stilista rubato all'agricoltura. Lo scopo è far soldi, sai che novità, però è un po' difficile che il pubblico si indentifichi con i colori sociali. I quali, un tempo, equivalevano alla bandiera ed erano intoccabili, al massimo si faceva qualche concessione alle seconde maglie (quasi sempre sobrie, e tendenti al bianco o al blu) ma solo per ragioni televisive, soprattutto quando le riprese in bianco e nero obbligavano a cercare contrasti più netti per le vecchie tivù. E' una moda, e purtroppo non passa. All'estero vediamo o abbiamo visto il Manchester United con una V nera sul petto come un Brescia infuocato, oppure un Barcellona marroncino chiaro, giusto quella sfumatura da influenza intestinale. Non resta che unirci alla speranza di Gasperini, allenatore del Genoa in pigiama: "Beh, speriamo che queste maglie bianche e celesti le vendano tutte in fretta". Anche se il top resta la divisa dell'Italia ai mondiali 2006, quella con gli aloni sotto le ascelle, unica maglietta "pre sudata" nella storia del calcio. Portò bene, però.

giovedì 5 agosto 2010

VITA ETERNA SU FACEBOOK

Il 28 ottobre 2009 l’amica Cristiana annota sul wall di Chiara R.: «Nei suggerimenti del nuovo Facebook c'è scritto che dobbiamo riprendere i contatti perché è tanto che non ci scriviamo, magari!». Chiara, che nella foto di presentazione sorride con aria furba da dietro una grande maschera subacquea, non può rispondere. Almeno non materialmente: è stata uccisa da un infarto una domenica di cinque mesi prima ma continua a esistere nell’universo virtuale, dove un algoritmo la suggerisce periodicamente come amica a una selezione dei 500 milioni di membri del più famoso tra i social network. Si muore mai veramente su Facebook? La domanda ronza da tempo nella testa degli infaticabili programmatori di Mark Zuckerberg, ancora alla ricerca di un software che aggiorni la vita dei fantasmi. «All’inizio, quando la maggior parte degli utenti di Facebook era giovane, i decessi erano rari, ma oggi la compagnia si trova ad affrontare la vecchiaia» spiega al New York Times James E.Katz, docente di storia della comunicazione alla Rutgers University . L’età è una sfida al rialzo, soprattutto nell’era di internet. Secondo una ricerca di comScore la tribù maggiormente in espansione nel popolare social network è quella degli over 65 che nel solo mese di maggio 2010 sono aumentati di 6,5 milioni. Il nodo è l’intensità delle relazioni che allacciamo con gli amici, i colleghi, gli ex fidanzati. Da quando comunichiamo via social network infatti, capita d’essere aggiornati in tempo reale sullo stato d’animo di una persona che non vediamo da anni o che magari non abbiamo mai visto e d’aver completamente perso le tracce di una cugina cara, il vicino di casa trasferitosi all’estero, l’amico del cuore renitente al web. Se il mezzo è tuttora il messaggio, allora Facebook può addirittura in qualche modo garantire l’immortalità. Nessuno ha dimenticato il compleanno di Chiara R., a giudicare dai commenti postati il 29 novembre sul suo wall: «Ovunque tu sia: Auguri!!!!», «E oggi ti penso di più», «...so che festeggerai sicuramente con dell'ottimo vino anche li dove sei ora...». Forse le stesse persone non sarebbero andate fino al cimitero a lasciare un biglietto che il sole o la pioggia avrebbero consumato in poche ore. O invece sì, di più? Eppure, dietro la tenerezza della memoria, c’è qualcosa d’innaturale nell’«anagrafe» online che può resuscitare i morti ma anche seppellire i vivi. Se all’inizio Facebook cancellava subito il profilo di una persona di cui qualcuno aveva comunicato la scomparsa, oggi chiede una prova. Nonostante questo l’ingegnere tedesco Simon Thulbourn si è ritrovato un giorno commemorato da un amico che avendo letto della scomparsa di un suo omonimo aveva girato il necrologio al social network ottenendo l’autorizzazione a dedicargli un memorial sul proprio wall. Un’ipotesi, rivela la portavoce del team di Zuckerberg Meredith Chin, è associare a chi non c’è più frasi tipo «riposa in pace». «Stiamo studiando un software, ma non possiamo sbagliare» ammette. Ne va della geografia dell’aldilà.

mercoledì 4 agosto 2010

LA MALEDIZIONE DI ONDINE

Cos’è ?
La CCHS è un disordine del controllo della respirazione autonoma, che può risultare alterata od assente, associato ad una disfunzione del Sistema Nervoso Autonomo (SNA). Questo termine è andato a sostituire la vecchia definizione coniata nel 1962 da Severinghaus di "Sindrome di Ondine" o "Maledizione di Ondine". Nella tradizione germanica Ondine era una ninfa che si innamorò di un uomo mortale. Quando l’uomo tradì Ondine, Il Re delle Ninfe lo punì lanciandogli una maledizione che gli fece "dimenticare" di respirare una volta addormentato. Analogamente, i pazienti affetti da CCHS non sono in grado di respirare autonomamente durante il sonno ma, per sopravvivere, hanno bisogno di ricorrere a dispositivi di ventilazione meccanica.
Quanto è diffusa la CCHS?
La CCHS è considerata una malattia rara la cui prevalenza, secondo un recente studio francese, è stimata attorno ad 1 caso ogni 200.000 nati. Pertanto in Italia i casi attesi sono circa due-tre l’anno.
Da cosa è provocata la CCHS?
La respirazione autonoma è regolata da un gene che si chiama PHOX2B ed è situato sul cromosoma 4. Tutte le alterazioni (chiamate "mutazioni") che riguardano questo gene provocano un difetto più o meno grave nel controllo della respirazione nel sonno. E’ stato recentemente stimato che dal 93% al 100% dei casi di CCHS è dovuta ad una qualche mutazione del gene PHOX2B. La CCHS viene trasmessa probabilmente come carattere autosomico dominante a penetranza incompleta. Questo significa che può esistere un genitore "portatore" che non presenta segni evidenti di malattia.
Quando si presenta?
La CCHS può manifestarsi fin dalla nascita o comunque nei primi giorni di vita. Esiste tuttavia un forma tardiva denominata "late-onset" cioè ad insorgenza ritardata che si può manifestare anche dopo l’anno di vita.
Come si presenta?
La sintomatologia d’esordio della CCHS può essere estremamente variabile potendo coinvolgere non solo l’apparato respiratorio, come avviene nella grande maggioranza di casi, ma anche il sistema gastroenterico, cardiaco e nervoso.
Sintomatologia
L’incapacità di mantenere una corretta ventilazione autonoma durante il sonno è la caratteristica fondamentale della Sindrome, comune a tutti i pazienti. Indipendentemente dalla severità dell’ipoventilazione, chi è affetto da CCHS non è in grado di rispondere adeguatamente ad un abbassamento dei valori ematici dell’ossigeno (ipossiemia) o ad un aumento di quelli dell’anidride carbonica (ipercapnia) durante il sonno. Come accennato, esistono vari gradi di severità dell’ipoventilazione: nei casi più gravi i pazienti possono presentare disturbi respiratori anche quando sono svegli. La CCHS può essere considerata a tutti gli effetti un disordine del SNA.
Per questo motivo al quadro di ipoventilazione si possono associare altre patologie tutte accomunate da una disregolazione del SNA: In circa il 15-20% dei pazienti la CCHS è associata ad un disturbo del Sistema Nervoso Enterico che prende il nome di morbo di Hirschsprung.
Nel 5% dei pazienti sono presenti tumori della cresta neurale come il Neuroblastoma.
I pazienti affetti da CCHS possono inoltre presentare alterazioni del controllo della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.
Esiste una terapia per la CCHS?
Nonostante i grandi passi in avanti compiuti della ricerca che hanno portato ad individuare il gene responsabile della CCHS, al giorno d’oggi purtroppo ancora non esiste una terapia in grado di "guarire" da questa sindrome. Tutti i pazienti affetti sono costretti ad utilizzare dispositivi di ventilazione meccanica per poter garantire un adeguato scambio respiratorio durante il sonno.

PER SAPERNE DI PIU'

martedì 3 agosto 2010

VIVERE LA MIA VITA

Imprigionato per 27 anni per uno stupro mai commesso, Michael Anrthony Green è stato liberato la settimana scorsa ed è stato capace di lasciarsi dietro parte della rabbia che ha sostenuto la sua sopravvivenza dietro le sbarre. Accompagnato dal suo avvocato, Green, 44 anni, ha lasciato la Harris County Jail in Texas e si è buttato tra le braccia dei circa 20 parenti che lo aspettavano. ”Vivere la mia vita” ha detto Green quando gli è stato chiesto cosa avrebbe fatto ora. Green è stato scarcerato dopo che il procuratore distrettuale di Harris County ha riaperto il suo caso e nuovi esami del DNA hanno dimostrato che non è stato lui a violentare nel 1983 una donna che era stata rapita. Alla domanda su cosa l’abbia fatto andare avanti negli ultimi 27 anni, Greene ha risposto che in parte è stata la sua rabbia. ”Ho incanalato la mia rabbia nello studio della legge”, ha detto stringendo tra le mani una foto della madre, morta mentre lui era in prigione. ”Ho vissuto così, giorno dopo giorno, studiando la legge per trovare il modo di tornare ad essere libero”. La sua rabbia è scoppiata ancora quando, nonostante che ormai fosse un uomo libero, le guardie lo hanno ammanettato e messo ferri ai piedi nel tragitto dalla sua cella all’aula del tribunale dove il giudice ha emesso la sentenza liberatoria. L’avvocato di Greene, Bob Wicoff, ha giustificato le intemperanze del suo cliente sttolineando che metà della sua vita gli è stata portata via. Green è entrato in prigione quando aveva 18 anni. I nipoti che lo hanno festeggiato fuori dal carcere non erano nemmeno nati mentre lui era in carcere.

lunedì 2 agosto 2010

2 AGOSTO 1980, PER NON DIMENTICARE

Il 2 agosto 1980, alle ore 10,25, una bomba esplose nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. Lo scoppio fu violentissimo, provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d'aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell'azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. L'esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Il soffio arroventato prodotto da una miscela di tritolo e T4 tranciò i destini di persone provenienti da 50 città diverse italiane e straniere. Il bilancio finale fu di 85 morti e 200 feriti. (testimonianze di Biacchesi e da "Il giorno") La violenza colpì alla cieca cancellando a casaccio vite, sogni, speranze. Maria Fresu si trovava nella sala della bomba con la figlia Angela di tre anni. Stavano partendo con due amiche per una breve vacanza sul lago di Garda. Il corpicino della piccola, la più giovane delle vittime, venne ritrovato subito. Solo il 29 dicembre furono riconosciuti i resti della madre. Marina Trolese, 16 anni, venne ricoverata all'ospedale Maggiore, il corpo devastato dalle ustioni. Con la sorella Chiara, 15 anni, era in partenza per l'Inghilterra. Le avevano accompagnate il fratello Andrea, e la madre Anna Maria Salvagnini. Il corpo di quest'ultima venne ritrovato dopo ore di scavo tra le macerie. Andrea e Chiara portano ancora sul corpo e nell'anima i segni dello scoppio. Marina morì dieci giorni dopo l'esplosione tra atroci sofferenze. Torquato Secci, impiegato alla Snia di Terni, venne allertato dalla telefonata di un amico del figlio Sergio, Ferruccio, che si trovava a Verona. Sergio lo aveva informato che a causa del ritardo del treno sul quale viaggiava, proveniente dalla Toscana, aveva perso una coincidenza a Bologna e aveva dovuto aspettare il treno successivo. Poi non ne aveva più saputo nulla. Solo il giorno successivo, telefonando all'Ufficio assistenza del Comune di Bologna, Secci scoprì che suo figlio era ricoverato al reparto Rianimazione dell'ospedale Maggiore. "Mi venne incontro un giovane medico, che con molta calma cercò di prepararmi alla visione che da lì a poco mi avrebbe fatto inorridire", ha scritto Secci, "la visione era talmente brutale e agghiacciante che mi lasciò senza fiato. Solo dopo un po' mi ripresi e riuscii a dire solo poche e incoraggianti parole accolte da Sergio con l'evidente, espressa consapevolezza di chi, purtroppo teme di non poter subire le conseguenze di tutte le menomazioni e lacerazioni che tanto erano evidenti sul suo corpo". Nel 1981 Torquato Secci diventò presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage. La città si trasformò in una gigantesca macchina di soccorso e assistenza per le vittime, i sopravvissuti e i loro parenti. I vigili del fuoco dirottarono sulla stazione un autobus, il numero 37, che si trasformò in un carro funebre. E' lì che vennero deposti e coperti da lenzuola bianche i primi corpi estratti dalle macerie. Alle 17,30, il presidente della Repubblica Sandro Pertini arrivò in elicottero all'aeroporto di Borgo Panigale e si precipitò all'ospedale Maggiore dove era stata allestita una delle tre camere mortuarie. Per poche ore era circolata l'ipotesi che la strage fosse stata provocata dall'esplosione di una caldaia ma, quando il presidente arrivò a Bologna, era già stato trovato il cratere provocato da una bomba. Incontrando i giornalisti Pertini non nasconse lo sgomento: "Signori, non ho parole" disse,"siamo di fronte all'impresa più criminale che sia avvenuta in Italia". Ancora prima dei funerali, fissati per il 6 agosto, si svolsero manifestazioni in Piazza Maggiore a testimonianza delle immediate reazioni della città. Il giorno fissato per la cerimonia funebre nella basilica di San Petronio, si mescolano in piazza rabbia e dolore. Solo 7 vittime ebbero il funerale di stato. Il 17 agosto "l'Espresso" uscì con un numero speciale sulla strage. In copertina un quadro a cui Guttuso ha dato lo stesso titolo che Francisco Goya aveva scelto per uno dei suoi 16 Capricci: "Il sonno della ragione genera mostri". Guttuso ha solo aggiunto una data: 2 agosto 1980. Cominciò una delle indagini più difficili della storia giudiziaria italiana.

domenica 1 agosto 2010

LA NUOVA CORSA ALL'ORO

L'alto corso dell'oro sui mercati mondiali ha riportato in auge l'antico scontro tra compagnie minerarie e minatori illegali in Africa. Dal Ghana alla Tanzania, passando per il Sudafrica, le compagnie che hanno in concessione le maggiori miniere denunciano una crescita esponenziale del commercio illegale del prezioso minerale. E un allargamento del fenomeno anche al settore dell'esplorazione. In Sudafrica sono chiamati zama-zama, in Ghana galamsey. In parte gente locale, in parte provenienti dai Paesi limitrofi, i minatori illegali operano generalmente attorno e ai margini delle miniere date in concessione alle grandi compagnie. In alcuni casi, come in Sudafrica, scavano tunnel sotterranei paralleli a quelli "legali" per raggiungere le zone aurifere; in altri casi, come per i depositi alluvionali, entrano nei siti durante la notte, spesso con la complicità delle forze di sicurezza, scomparendo la mattina. Quale che sia il loro metodo, i danni che provocano al settore sono ingenti, sottraendo fino al 15 percento dei depositi auriferi, che vengono poi immessi nel mercato legale attraverso intermediari. Durante la guerra civile in Congo, i commercianti d'oro di stanza al confine con l'Uganda fecero affari d'oro, letteralmente. Ora tocca agli intermediari sudafricani e ghanesi fare la parte del leone in un commercio ravvivatosi negli ultimi mesi, anche grazie all'alto corso mantenuto dall'oro sui mercati globali a séguito della crisi economica mondiale. Ma il conflitto tra compagnie e minatori illegali si sta spostando anche ad altri mercati, primo fra tutti la Tanzania, diventata uno dei principali produttori di oro del continente. Alcune compagnie operanti nella regione di Mara, nel nord del Paese nei pressi del Lago Vittoria, denunciano l'entrata di centinaia di minatori illegali nei propri siti ogni giorno. Un'accusa però respinta dalle comunità locali, le quali sostengono di avere il diritto di cercare oro in una regione dove i cercatori tradizionali furono cacciati a forza dall'esercito in séguito alla privatizzazione delle concessioni, durante gli anni Novanta. Ma sradicare il fenomeno dell'estrazione illegale rischia di rivelarsi più difficile del previsto. Non solo per la sua ampiezza e costante crescita, ma anche perché l'arrivo dei minatori illegali favorisce spesso una crescita economica che coinvolge la popolazione che gravita attorno alle miniere. Nel centro sudafricano di Barberton, nel nord est del Paese, i minatori illegali provenienti da Swaziland, Zimbabwe e Mozambico sono socialmente una spanna sopra agli altri, grazie agli ingenti proventi che l'attività garantisce (circa 1.000 euro al mese, una fortuna per gli standard locali), e che ha ricadute positive su negozi, alberghi e liquorerie dell'intera città. Ma come spesso succede, anche in questo caso un'attività del genere ha il suo risvolto della medaglia dal punto di vista sociale: a Barberton come a Welkom, un altro centro sudafricano dove i minatori illegali sono presenti in massa, si stanno moltiplicando le denunce per violenze nei confronti dei minori, spesso "venduti" come schiavi sessuali dalle proprie famiglie povere ai minatori. Alcuni di essi vengono condotti all'interno delle miniere, dove rimangono per mesi alla mercé dei lavoratori. Favorendo alla lunga l'emergere di problemi come gravidanze di minori e la diffusione dell'Aids.