mercoledì 29 febbraio 2012

IL MITO ALL BLACKS ABBATTUTO DALLA MALATTIA



E’ stato una delle stelle degli All Blacks. Un gigante in campo, e un mito per gli appassionati di sport. Forte, appassionato, tenace, come ad ogni rugbista si chiede.





E’ stato una delle stelle degli All Blacks. Un gigante in campo, e un mito per gli appassionati di sport. Forte, appassionato, tenace, come ad ogni rugbista si chiede.
Il campione neozelandese Jonah Tali Lomu, il colosso che grazie alla palla ovale era riuscito a fuggire dai sobborghi malfamati di Auckland, sta per perdere l’ultima battaglia della sua vita: quella contro la malattia. Dieci anni fa nessuno poteva neppure immaginare di fermare Jonah Lomu, il gigante invincibile. Implacabile ed implaccabile. Centoventi chili di muscoli per 1.96 d’altezza, i cento metri corsi in 10 secondi e 9 decimi. Il campione che da solo scardinava le mischie di tutto il mondo, un treno lanciato a piena velocità che il giorno della finale mondiale in Sudafrica spaventò anche Mandela. Adesso Jonah ha 36 anni, è immobile sul letto di un ospedale, ha perso trenta chili in un paio di settimane, le enormi braccia tatuate raggrinziscono per la malattia, lo sguardo è triste. Repubblica riporta il suo malessere: «Prima o poi tutti dobbiamo morire. Non avrei mai pensato di finire così», dice. E la luce negli occhi è sempre la stessa. Ci vuole subito un nuovo trapianto di rene, ma questa volta sarà ancora più dura. Jonah è tornato nell’ospedale di Auckland dopo che l’altro giorno le sue condizioni sono improvvisamente peggiorate. La Nuova Zelanda piange per il suo eroe, consapevole che la partita si è fatta disperata. Lui non si arrende, prova a prendere a spallate il male che porta con sé, come faceva con i suoi avversari. E tutto il mondo ovale è con lui, pronto a sostenerlo. Come una grande squadra di rugby. «Venerdì era andato a correre anche se non stava bene», spiega la moglie Nadene, scuotendo la testa. Jonah accenna un sorriso: «Il mio corpo ha come preso la forma di una pera. Erano dieci giorni che non riuscivo a trattenere il mangiare. Pensavo fosse un raffreddore. Invece era il mio rene che se n’era andato. Il corpo s’era così intossicato da bloccarsi. E sono caduto a terra».
A vincere contro infortuni e malattie Lomu c’era riuscito, più volte. Non ora, però: Lui, che a terra non ci era mai finito. Che a 19 anni era diventato il più giovane All Black della storia. E pochi mesi dopo era la stella del Mondiale sudafricano, celebrato da “Invictus” di Clint Eastwood. Così spaventosamente possente che scommettevano su chi sarebbe riuscito a placcarlo. Nelson Mandela volle conoscerlo e scambiò con lui qualche parola prima della finale. Di sicuro lo guardò negli occhi. Nella primavera, era il 1996, il ragazzo cominciò ad avvertire i primi sintomi della nefrite, che lo tenne fuori un paio di stagioni. Sembrava tutto finito – perché nessuno può fermare Lomu, dicevano -, alla successiva rassegna iridata tornò ad abbattere gli avversari come birilli. Con la maglia dei "Tutti Neri" ha giocato 63 partite realizzando 37 mete. Fino al 2003, secondo stop e inizio del calvario. Ci vuole un trapianto, il rene è quello di un amico dj, Grant Kereama. Jonah si riprende lentamente, non molla. Torna in palestra. Sogna di partecipare ai Mondiali del 2007. Segna una meta all’Inghilterra, ma si fa male ad una spalla. Ricomincia da capo, e va a giocare a Cardiff, in Galles. Però la malattia ormai lo ha placcato. E piano piano lo tira giù. Accetta un contratto con un club semi-professionistico di Marsiglia, due anni fa è con gli ottantamila del Meazza come testimonial. Dal terzo matrimonio con Nadene nascono due bimbi. Va in dialisi. Continua a lottare, diventa bodybuilder. Tra qualche settimana doveva partecipare ad un incontro benefico di pugilato. «Perché nessuno mette al tappeto Jonah Lomu», diceva. E c’era una luce triste nei suoi occhi.

fonte Giornalettismo/Repubblica

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