Una Gioconda ringiovanita, che dimostra 20 o 25 anni, ma con lo stesso enigmatico sorriso e lo sguardo intrigante della Monna Lisa di Leonardo da Vinci, stagliata su un fondo che ricorda quello della campagna toscana. È una replica del ritratto più celebre della storia dell’arte, quello che immortala la giovane Lisa Gherardini, sposa di un ricco commerciante fiorentino, Francesco del Giocondo. Ma non è una copia qualunque, come le tante esistenti, che risalgono al XV o al XVI secolo. È la gemella della Gioconda, creata da uno dei discepoli favoriti del genio toscano, forse Andrea Salai o anche Francesco Melzi, in contemporanea con l’autentica, plausibilmente nella stessa bottega, gomito a gomito col maestro fiorentino che lavorava all’originale, conservato al museo del Louvre. A convalidare la tesi sono le maggiori autorità del campo, gli esperti in conservazione del tempio parigino dell’arte e della pinacoteca madrilena. L’emozione è grande a trovarsela davanti al secondo piano interrato del Museo del Prado, circondata da restauratori in camice bianco ed esperti come il responsabile della conservazione della pittura italiana e francese, Miguel Palomin, che gli ha dedicato abnegazione assoluta. L’opera è stata anche esposta al pubblico lungo gli ultimi 80 anni, ma la scoperta degli ultimi mesi, spiega il direttore del Prado, Miguel de Zougaza, è sensazionale, «capace di trasformare la nostra conoscenza del mondo in cui Leonardo realizzò il suo lavoro». Il subbuglio è notevole fra la selva di giornalisti convocati in fretta e furia per la presentazione della giovane dama in società, anticipata dopo la pubblicazione della primizia fatta dalla rivista The Art Newspaper. A parte le dimensioni simili all’originale - 76x57 centimetri rispetto ai 77x53 del capolavoro leonardesco - per decenni il ritratto conservato al Prado, ceduto nel XVIII secolo dalle Collezioni Real dell’Alcazar, sembrava solo una replica senza importanza, attribuita a pittori fiamminghi, per il supporto sul quale era stato realizzato: una tavola di rovere, materiale che non era impiegato dagli artisti fiorentini del Rinascimento. Ma anche per quel fondo nero che non aveva nulla a che vedere col sereno paesaggio ritratto dal genio della pittura italiana. Poi due anni fa l’inizio del restauro, motivato dalla richiesta dell’opera in prestito fatta dal Louvre, per l’esposizione degli ultimi capolavori di Leonardo, fra cui “Sant’Anna”, in programma dal 29 marzo al 25 giugno. Da esami riflessologici e raggi ultravioletti sono emerse evidenze insperate, presentate a una conferenza tecnica alla London’s National Gallery, in occasione della mostra “Leonardo da Vinci: pittore alla corte di Milano”. «Il supporto è risultato essere di noce, proprio legno impiegato dagli artisti italiani dell’epoca. E lo sfondo nero è una sovrapposizione successiva» osserva Palomin «oggi crediamo sia stato aggiunto al quadro nel XVIII secolo». Il paziente lavoro dei restauratori ha consentito di liberare la tavola delle varie cappe di pigmenti oscuri che per oltre 5 secoli hanno circondato il volto della Monna Lisa del Prado e di fare emergere luce, colori autentici e vividi, assieme al tratto integro iniziale, con gli stessi paesaggi rappresentati da Leonardo nella sua opera . «Il paradosso è che l’opera mostra uno stato di conservazione straordinario, capace di fare apprezzare particolari della Monna Lisa originale, il cui volto resta ombrato dalla vernice invecchiata nel tempo, che le conferisce un aspetto da donna di mezza età, rispetto alla giovane Gioconda emersa dall’oscurità. Anche se non c’è paragone possibile fra la qualità artistica dell’opera di Leonardo e quella della replica» ammette l’esperto in pittura italiana. La modella, in ogni caso, sembra essere la stessa. È possibile che l’assistente abbia ritratto Monna Lisa quando la dama posava per il maestro o anche, come suggeriscono gli studi, mentre Leonardo terminava l’opera con gli ultimi ritocchi. La specialista tecnica del Prado, Ana Gonzalez Mozo, descrive la copia come «un lavoro di grande qualità» nella relazione presentata alla conferenza di Londra, in cui ha provato che venne realizzata nello studio di Leonardo, anche se il Louvre la colloca fra il 1503 e il 1506. Bruno Mottin, responsabile di conservazione al Centre de Recherche et de Restauracion des Musées de France, è convinto che l’autore della tavola del Prado possa essere uno dei pupilli del maestro: Andrea Salai, che lavorò nella sua bottega nel 1490 e forse ne fu amante, o Francesco Melzi, che dipinse agli ordini di Leonardo intorno al 1506. «La copia del Prado» conclude Palomin «è importante perché ci dice molto sulle pratiche artistiche nello studio di Leonardo, come la prosuzione di una seconda versione, dipinta in contemporanea con l’originale, un’ipotesi intrigante». È uno dei tanti misteri che circondano vita e opera del grande da Vinci. Di certo Monna Lisa reincontrerà la sua copia gemella per la mostra-evento europeo della primavera.
fonte Secolo XIX
venerdì 3 febbraio 2012
LA GEMELLA DIMENTICATA
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