L'angioplastica è quell’intervento che si rende necessario quando le arterie coronariche risultano bloccate dal formarsi di un coagulo di sangue che impedisce il normale afflusso di questo all’interno del cuore, con la conseguenza di causare infarti e blocchi nel funzionamento del muscolo cardiaco. Fino ad oggi l’angioplastica si eseguiva introducendo all’interno delle arterie una sonda che, una volta giunta in vista del grumo di sangue allargava le pareti dell’arteria e frantumava il coagulo permettendo nuovamente l’afflusso di sangue. Una tecnica efficace nella maggior parte dei casi, ma che ha sempre avuto una controindicazione. In un terzo dei casi infatti il grumo di sangue viene si disperso, ma, caso non raro, esso si frantuma in porzioni più piccole che vanno ad insediarsi nei vasi sanguigni più piccoli, dove non solo è irraggiungibile con la stessa tecnica utilizzata per liberare l’arteria, ma dove non viene neanche rilevato da successivi esami di coronografia. Il che, se da un lato apparentemente sembra permettere un efficace flusso sanguigno dall’altra non fa che spostare il problema più in là. La soluzione sembra arrivare, come recentemente sperimentato all’interno di un vasto studio denominato Attempt e che ha previsto il monitoraggio di circa 2500 pazienti, realizzato in diversi paesi europei e in Giappone, dall’introduzione, invece del classico dispositivo utilizzato, un palloncino che allarga la sezione dell’arteria, di una sorta di catetere o siringa, che invece di spingere sul coagulo di sangue, o di frantumarlo, lo risucchia. L’operazione, che si può compiere in maniera manuale, impedisce che frammenti del trombo possano trovare il modo di insediarsi nuovamente in vasi sanguigni più piccoli riducendo o impedendo nuovamente il flusso di sangue alle cellule cardiache. Un sistema efficace soprattutto nei casi in cui l’angioplastica viene eseguita in emergenza su pazienti colpiti da infarto
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