«Amici sportivi, è Nicolò Carosio che vi parla e vi saluta». Un unico, immutabile incipit per introdurre il racconto di circa tremila partite, anche se il suo vero marchio di fabbrica era il «quasi-gol», che per i tifosi segnava, a seconda dei casi, il rimpianto dell'occasione sprecata o il sollievo per lo scampato pericolo. Agli inizi della carriera, però, ossia ai tempi pioneristici delle prime radiocronache per l'EIAR, l'asfissiante censura fascista bandiva, conformemente all'impronta autarchica del regime, l'impiego di vocaboli stranieri. Così ecco la «rete» e la «quasi-rete», il traversone, il calcio d'angolo e il fuorigioco al posto di cross, corner e offside, dando luogo a un'italianizzazione del gergo calcistico, completata nei decenni successivi dai neologismi di Gianni Brera. Al di là delle innovazioni lessicali, le radiocronache di Carosio restituivano, in assenza di un rapporto tra audio e video, la tensione, il ritmo, la velocità di una partita di calcio. Radiocronache «dinamiche», come le avrebbe definite Antonio Ghirelli, che contribuirono alla diffusione degli apparecchi radiofonici almeno quanto i quiz di Mike Bongiorno incrementarono la vendita dei televisori. Folgorato in Inghilterra dai commenti alla BBC di Herbert Chapman, l'inventore del «sistema», Carosio si era esercitato a lungo nei campetti di periferia e nel retrobottega di un negozio di elettrodomestici, prima di farsi scritturare dai dirigenti dell'EIAR, che aveva scioccato improvvisando per mezz'ora la cronaca di un derby torinese. Il passaggio alla televisione, se da un lato smascherò la fantasia descrittiva con cui colorava fasi di gioco noiose, dall'altro impose un cambio di rotta.Le immagini mostravano ciò che prima arrivava al pubblico solo attraverso le parole, pertanto lo stile si fece asciutto, essenziale, ma sempre nel vivo dell'azione, con accenni di commento che fecero epoca. All'indirizzo di Rivera, che giaceva a terra oltre il necessario, esagerando gli effetti di uno scontro di gioco, rivolse il elebre «Poche storie! Alzarsi e correre!». A Mario Corso, innamorato del pallone e degli effetti speciali a discapito della concretezza: «Mariolino, meno veroniche e più sostanza!». Una visione inglese del calcio, avversa al gioco speculativo e ai tempi morti: «Ma dove siamo? Questo è calcio da salotto!». Fanno sorridere i suoi ammonimenti al povero Gigi Meroni («Tagliarsi i capelli! Così il pallone non lo vedi»), e le sue reazioni ai tafferugli tra tifosi («Cosa aspetta la polizia a intervenire? Quattro randellate ben date e tutto torna a posto»). Se le parole che disse gli diedero la celebrità, quelle mai dette lo fecero cadere in disgrazia. Carosio fu accusato di avere apostrofato pesantemente, con corredo di insulti razzisti, un guardalinee etiope che durante Italia-Israele, partita valevole per il girone eliminatorio dei mondiali del 1970, annullò due goal italiani regolari. Ma la frase incriminata («Cosa vuole questo negraccio?») non fu mai pronunciata. La riabilitazione è arrivata soltanto pochi mesi fa, con un ritardo immenso, nel corso di una puntata della «Domenica Sportiva» che ha ritrasmesso le fasi di quella telecronaca relative al guardalinee. Esclamazioni di disappunto, cenni sulla sfortuna azzurra, ma nessuna offesa. Una leggenda metropolitana, come la contemporanea esclamazione di Bongiorno sulla signora Longari e l'ornitologia. Ma a quell'epoca bastava un sospetto a giustificare dimissioni, cambi di rotta improvvisi, provvedimenti drastici e immediati. Davvero un'altra Italia.
giovedì 4 novembre 2010
Miti e Leggende: Nicolo' Carosio
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