C’è qualcosa di grave che non va sull’ A330 e così Airbus ed Air France sborsano altri 3 milioni di euro per riprendere le ricerche del jet misteriosamente precipitato nell’Oceano Atlantico la notte del 1 giugno 2009 mentre volava da Rio de Janeiro a Parigi con 228 persone a bordo. Preoccupazione e timori soprattutto tra gli equipaggi Air France – secondo quanto Affaritaliani.it ha appreso a Roma da fonti francesi – che hanno cominciato ad accusar malanni pur di non volare sull’A 330 in quella rotta, tra l’altro non di rado teatro di forti turbolenze. Preoccupazione che starebbe cominciando a farsi strada a Fiumicino pure tra piloti ed assistenti di volo dei due vecchi A 330 della nuova Alitalia ereditati da Air One e di quelli nuovi in corso di consegna. E’ così troppo importante per la casa costruttrice e per la stessa compagnia tentar di far piena luce su cosa avvenne quella tragica notte a bordo dell’A 330. Il bireattore intercontinentale A 330 costituisce per Airbus, infatti, uno straordinario successo commerciale. In linea con le maggiori compagnie mondiali. Da qui l’importanza di fugare ogni dubbio circa affidabilità e la sicurezza del velivolo che se non chiariti potrebbero decretarne un prematuro declino. Le ricerche del relitto, sospese dopo alcuni mesi dalla tragedia, sono riprese il 3 maggio scorso. La BEA, l’organismo francese per la sicurezza dell’aviazione civile che conduce l’inchiesta tecnica sull’incidente, ha annunciato da Parigi che questa campagna durerà presumibilmente fino al 25 maggio “per levare le ultime incertezze”. Oltre ai rottami del velivolo si cerca di localizzare le scatole nere che registrano i parametri di volo e le conversazioni dei piloti in cabina di pilotaggio. Sin dalle prime ore dopo il disastro fu accertato che i sistemi di allarme automatici del jet avevano lanciato diversi “avvisi” nel giro di pochi minuti, quando a bordo si era verificata un’ improvvisa anomalia tanto grave da farlo precipitare in pieno oceano in poco tempo. Una manciata di minuti che hanno costituito una interminabile agonia per equipaggio e passeggeri. La nuova campagna fa seguito alla fasi di ricerca uno e due concluse senza risultati determinanti nonostante i 10 milioni di euro spesi congiuntamente da Airbus e Air France. Pochi, infatti, i resti dell’aereo recuperati e non molti i corpi delle vittime, spesso irriconoscibili per l’incidente e per la permanenza in mare, ma soprattutto nessuna traccia delle scatole nere finite chissà dove sul fondo del mare. “Noi vogliamo veramente trovare queste registrazioni che sono un elemento fondamentale per la prosecuzione dell’inchiesta - dichiara il direttore del BEA Jean-Paul Troadec - e poiché non le abbiamo individuate nella zona inizialmente delimitata per le ricerche riteniamo che è possibile trovarle in zone periferiche più a nord, o più ad ovest”. “Dopo i calcoli di un Comitato scientifico – aggiunge - si pensa che le registrazioni possano essere in prossimità di un rettangolo scelto appunto in questa terza fase. C’è comunque una piccola zona dai fondali molto accidentati, proprio al centro di quanto già delimitato, che non ci pare sia stata oggetto di una indagine affidabile. Abbiamo buone possibilità di trovare le scatole nere, ma non siamo in grado di dire quando. Anche se gli strumenti hanno smesso di lanciare i segnali automatici necessari per la loro localizzazione”. Indiziati della causa del fatale crash del 1 giugno sono gli indicatori di velocità degli Airbus A 330 che avrebbero fornito false indicazioni ai piloti proprio in prossimità di una forte turbolenza, inducendoli in errore e provocando così eccezionali sollecitazioni che avrebbero portato alla distruzione in volo dell’aereo. Un’anomalia, quella degli indicatori di velocità degli Airbus A 330, che avrebbe provocato in alcuni casi seri problemi anche a velivoli di altre compagnie
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