Oggi si celebra il giorno in cui, oltre due secoli fa, l’allora governo di sua maestà britannica prese possesso di questa terra adibendola a colonia penale. Fu l’inizio di un progetto folle e cioè quello di fare di un’isola-continente un immane campo di concentramento. Non solo: quel giorno segna anche una data sciagurata per la popolazione autoctona. Nei decenni che seguirono un numero imprecisato, ma sicuramente ingente di aborigeni, fu eliminato, talora con vere e proprie “battute di caccia”. Bella data da celebrare! Certo era un’epoca diversa dalla nostra. Allora non c’era lo statuto internazionale dei diritti umani e nazioni potenti dell’Occidente, come l’Inghilterra, la Francia e la Spagna, continuavano a guardare ai territori non ancora esplorati del mondo come “terrae nullius”, ovvero terre di nessuno e quindi da occupare e all’occorrenza, come fu il caso del continente australe, come discarica umana. È pur vero, altresì, che se gli inglesi, in quel giorno tanto squallido nella loro storia quanto infausto per gli aborigeni, non fossero sbarcati nella baia di Sydney con il loro primo carico di circa 800 galeotti, l’Australia di oggi non esisterebbe. Sappiamo inoltre che è inimmaginabile che questa terra potesse restare per sempre indisturbata e che agli aborigeni australiani fosse dato di vivere in eterno il loro “tempo del sogno”. Prima o poi, qualcuno avrebbe rotto l’incantesimo e la sorte volle che a romperlo fossero gli inglesi. Ci mancò pochissimo, in effetti, che gli inglesi arrivassero tardi. Due vascelli francesi, al comando di La Perouse (alla cui memoria è intitolato un noto quartiere di Sydney) arrivarono solo sei giorni dopo l’arrivo della prima flotta britannica. È difficile immaginare cosa sarebbe successo se i francesi avessero preceduto gli inglesi, ma non c’è dubbio che la storia di questo continente avrebbe preso un altro corso. Non necessariamente migliore, a giudicare dagli effetti del colonialismo francese in altre aree del mondo. In ogni caso, ci ritroviamo puntualmente ogni anno a festeggiare un giorno che, per quanto abbia poi dato vita ad una nazione civile, ospitale e tranquilla, non è una data da ricordare con orgoglio. Non si può sicuramente svalutarne l’importanza da un punto di vista storico ma non è una data idonea come festa della nazione. Che senso ha aver espresso pubblicamente rammarico alla popolazione aborigena, se poi si continua a celebrare la festa nazionale nel giorno che gli aborigeni giustamente commemorano come il “giorno del lutto”? Un lutto che non è affatto accompagnato da sentimenti di odio e di vendetta, ma esprime l’umanissimo bisogno di ricollegarsi alla storia della propria gente, tanto più che gli aborigeni continuano ancor oggi a soffrire le conseguenze di quel 26 gennaio 1788. Occorre decisamente trovare un altro giorno per la festa nazionale dell’Australia. Non è necessario che sia un giorno legato a vere o presunte glorie del passato. Basta uno qualsiasi dei restanti 364 giorni dell’anno, senza alcun riferimento storico e, in quanto tale, incontaminato dalle scorie che la storia si porta sempre dietro. L’Australia Day deve essere un giorno che unisce e non divide, un giorno d’armonia, solidarietà e fratellanza fra tutta la gente - di ogni estrazione etnica, culturale, linguistica e religiosa - che popola questa nazione. Fintantoché non sarà scelto un altro giorno, io, come il cappellaio matto di “Alice nel Paese delle Meraviglie” che festeggia il giorno del non-compleanno, festeggerò l’Australia Day ogni giorno dell’anno, tranne che il 26 gennaio.
Fonte IVANO ERCOLE da La Fiamma/Il Globo
Fonte IVANO ERCOLE da La Fiamma/Il Globo
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