L’Amazzonia, il più grande (nonché ultimo) polmone verde della terra, una superficie di oltre sei milioni di chilometri quadrati che comprende la Bolivia, l’Equador, la Colombia, il Venezuela, le Guyane e gran parte del Brasile, rischia di sparire. Più di un quinto della foresta amazzonica è infatti già stato distrutto ad opera del governo di Brasilia (che sfrutta le risorse di questa terra ricchissima per pagare lo smisurato debito estero), dei latifondisti e delle multinazionali giapponesi ed europee. Questa criminale opera di distruzione, iniziata a partire dagli anni ‘40, è causata da fattori diversi: la creazione di immense autostrade, gli incendi dolosi dei fazendeiros, il traffico di legname pregiato, la costruzione di dighe (finalizzate alla produzione di energia idroelettrica) per le quali sono stati letteralmente innondati interi territori, la creazione di miniere per l’estrazione di ferro, uranio e altri minerali; non ultimo il progetto militare “Calhan Norte”, ideato dall’esercito brasiliano, che ha comportato l’edificazione di basi militari, strade e aeroporti lungo tutta la fascia Nord dell’Amazzonia. Perché la foresta non si limiti a essere la suggestiva immagine del dekstop dei nostri computer bisogna correre ai ripari. È quello che da sempre il wwf cerca di fare, mobilitando l’attenzione generale attraverso campagne, manifestazioni e iniziative importanti. Per aiutare il wwf è nato Ecosia, un motore di ricerca ecologico che ha come fine proprio la protezione di migliaia di ettari di foresta amazzonica. Ecosia è un motore di ricerca “tutto naturale” in quanto utilizza server alimentati da energia verde che quindi non producono CO2. Madre del progetto è un’organizzazione indipendente e privata che mira a far concorrenza al cliccatissimo Google. Per ogni ricerca effettuata con Ecosia si potranno salvare circa due metri quadri di foresta pluviale (una scritta ci mostra in “tempo reale” la quantità di foresta “risparmiata”). Come è possibile? Ecosia si basa su di un principio economico semplice e ormai consolidato ma il fine che lo muove è del tutto nuovo. Come ogni motore di ricerca, anche Ecosia otterrà un contributo economico dagli sponsor ogni qual volta gli utenti cliccheranno sui link delle aziende pubblicizzate, con la differenza – sostanziale – che l’80% del ricavato non finirà nelle tasche di pochi «fortunati» ma verrà devoluto per salvare la foresta amazzonica.Ci vengono in mente le parole di un altro signore: “Solo in Australia vengono effettuate al mese circa 800 milioni di ricerche su internet. Se riuscissimo a catturare anche solo l’1% del traffico, potremmo contribuire in modo significativo ad abbassare il pericoloso impatto di gas nocivi che vengono emessi ogni giorno. Il motore di ricerca è lo strumento più facile per fare in modo che tutti possano cambiare il proprio comportamento e avere un impatto positivo sull’ambiente”. Secondo Christian Kroll, uno dei fondatori del progetto, “se solo l’1% degli utenti di Internet usassero Ecosia, ogni anno si potrebbe salvare una foresta pluviale grande quanto la Svizzera”. Il signore in questione era Tim Macdonald, fondatore di Ecocho, il primo motore di ricerca verde, il cui utilizzo compensava le emissioni di gas a effetto serra e permetteva di piantare due alberi ogni 1000 ricerche effettuate”. Con Ecosia si va ben oltre! Impostandolo come motore di ricerca si contribuisce realmente a modificare non solo le sorti dell’Amazzonia ma di tutto il pianeta. Non dimentichiamo che la deforestazione è una delle principali cause del riscaldamento climatico e dell’inquinamento atmosferico. Il progetto Ecosia è partito a Berlino nei giorni in cui a Copenhagen iniziava il vertice delle Nazioni Unite sul clima. Sinceramente tutti noi ci auguriamo che il destino di questo motore ecologico sia più roseo del “non-risultato” che i grandi del mondo sono riusciti a ottenere. Al momento, Ecosia si avvale purtroppo solo del supporto tecnologico di Bing e Yahoo e la qualità della ricerca non è ancora al livello del famosissimo Google. Se quest’ultimo partecipasse all’iniziativa allora le cose potrebbero davvero cambiare! Non è questione di aspettare ma di agire. Perché l’imperatore dei motori di ricerca dovrebbe aprire occhi e orecchie per prestare attenzione? Perché le due giovanissimi menti a capo di Google dovrebbero rinunciare a parte dei 14 miliardi di dollari annui, patrimonio inconcepibile che li pone in testa alla classifica americana degli uomini più ricchi? Potremmo essere fortunati, Larry Page e Sergey Brin potrebbero riconoscersi tanto sensibili da preoccuparsi delle sorti del pianeta o almeno sufficientemente egoisti da comprendere che queste sorti li riguardano in prima persona. Ma questo sta a loro. Metterli nella condizione di farlo, scegliendo Ecosia come nostro motore di ricerca o almeno riducendo l’utilizzo di Google, sta a noi. È in ogni caso una questione di necessità. Il tempo delle attese e dei compromessi “ambientali” volge al termine e forse è il caso di iniziare davvero a rendersene conto.
mercoledì 13 gennaio 2010
VECCHIO "PRINCIPIO" PER UN NUOVO "FINE", E' ECOSIA
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