martedì 30 marzo 2010

FISCHIO FINALE

I team europei sono sull'orlo del baratro. Con casi limite come il Manchester che ha debiti per 800 milioni. Ma anche Inter e Milan non reggono più. Non c'è bisogno di essere delle Cassandre per vaticinare il prossimo crac del sistema del calcio europeo. Da anni i ricavi non coprono i costi e le spese sostenute per il parco-giocatori hanno una peso determinante sul segno finale dei conti societari. I club passano di mano da un patron all'altro, ma i soldi in circolazione non sono più quelli degli anni d'oro. Il sistema del pallone non ha trovato - e non sembra nemmeno cercare - una nuova sostenibilità, che deve passare necessariamente per il fair play finanziario: vale a dire regole uguali per tutti gli operatori, il mercato dei calciatori ridimensionato su valori più in linea con l'attuale situazione economica, e soprattutto parametri finanziari più rigidi, pena l'esclusione da campionati e trofei internazionali. Un messaggio che, più volte, il presidente della Uefa, Michel Platini, ha inviato ai numeri uno dei grandi club, senza mai ricevere un cenno di adesione. Negli ultimi anni tutti i top team hanno continuato a crescere in termini di fatturato, grazie a sponsorizzazioni sempre più importanti, alla partecipazione a tornei di lusso in terre esotiche e alla diffusione dei diritti media sia in ambito domestico che internazionale. Ma, a fronte di questo incremento nei ricavi, i debiti hanno continuato a crescere, per una gestione poco lucida del cash flow e anche perché si è ritenuto che il sistema finanziario potesse venire incontro a chi è capace, comunque, di produrre reddito. Peccato, però, che le società che generano utili hanno utilizzato questi soldi per ripagare il costo dei tassi d'interesse su un debito in continua crescita. Il sistema del calcio europeo insomma è a un passo dal collasso e molti patron sono stanchi di depauperare i propri patrimoni personali o familiari. Il Manchester United di Malcolm Glazer, il club più ricco al mondo per valore economico complessivo, ha tirato un sospiro di sollievo solo dopo essere riuscito, nelle ultime settimane, a ristrutturare il proprio debito con un'operazione finanziaria di tutto rispetto, mai tentata prima da un club di calcio. Grazie infatti all'emissione di un bond da 500 milioni di sterline della durata di sette anni (progetto curato dalla banca d'affari JP Morgan e da Deutsche Bank) i campioni d'Inghilterra pagheranno, nelle prossime stagioni, meno interessi sul totale dei debiti. Un maquillage finanziario che potrebbe non essere sufficiente, costringendo alla fine l'attuale proprietà a passare la mano al migliore offerente. Nell'ultima stagione i Red Devils hanno messo a segno un risultato positivo di bilancio solo grazie alla cessione dell'asso Cristiano Ronaldo, venduto per 90 milioni di euro al Real Madrid, altrimenti altri 38 milioni di euro di perdite si sarebbero aggiunti allo stock già pesantissimo di 800 milioni di debiti. Altri club inglesi hanno pensato di utilizzare un sistema più semplice, ovvero convertire il proprio indebitamento in azioni. Il Chelsea ha trasformato l'esposizione finanziaria che aveva nei confronti del suo stesso proprietario, il magnate russo Roman Abramovich (pari ad oltre 900 milioni di euro di debiti), in nuove azioni. In pratica Abramovich ha azzerato quasi un miliardo di debiti rimettendoceli dal suo patrimonio personale. Il Chelsea è una società che perde, ogni anno, decine di milioni di euro e, senza un freno alle spese, nell'arco di poche stagioni si ritroverà di nuovo con un'esposizione finanziaria elevatissima. Una situazione insostenibile anche per un tycoon del calibro di Abramovich. Situazione simile l'ha vissuta più recentemente il Manchester City, acquistato dalla famiglia reale di Abu Dhabi, che ha quasi azzerato l'indebitamento trasformandolo in azioni, sulla scia dell'operazione del Chelsea: ma, ogni anno, il secondo club di Manchester continua a produrre perdite ingenti. L'Arsenal, altro storico team della Premier league inglese, ha emesso obbligazioni garantite dagli incassi dell'impianto sportivo (l'Emirates stadium) per finanziare i propri debiti. Un'operazione di cartolarizzazione importante e forse eccessiva per il mondo del pallone, anche perché si continua a spostare avanti nel tempo la soluzione di un annoso problema: quello dei costi dei salari dei giocatori e dei trasferimenti degli stessi. Al momento, se non ci fossero dei patron pronti a vedere il proprio portafoglio prosciugarsi, alcuni dei più importanti marchi calcistici europei sarebbero già falliti.

Nessun commento: