sabato 13 marzo 2010

SINESTESIA


La sinestesia è un fenomeno percettivo cioè riguarda il nostro modo di interrogare la realtà e di ricevere informazioni. Le sensazioni sono possibili perché il nostro organismo è predisposto a ricevere informazioni sotto forma di energia proveniente dal mondo esterno. La sensazione, che è propedeutica alla percezione, è possibile perché esistono nel nostro corpo dei “rilevatori di energia” che le scienze hanno chiamato sistemi sensoriali. Ogni sistema sensoriale è sensibile a una determinata forma di energia fisica. I nostri atti mentali, verbali e fisici hanno origine nella mente. Ogni volta che avviene un contatto fra gli organi di senso e gli oggetti esterni — come le forme visibili, gli odori, i suoni, i sapori e le sensazioni tattili — all’interno del corpo nasce una sensazione, da cui si originano reazioni che sono causa di nuove azioni. L’informazioni o stimoli presenti in natura sono molteplici o infiniti; l’uomo non è in grado di riceverli tutti, rischierebbe di rimanerne schiacciato, ma nel corso della sua evoluzione ha selezionato solo quelli utili alla sopravvivenza della specie. Nel tempo i sensi si sono specializzati a ricevere solo un determinato stimolo o energia (determinate frequenze sonore, onde di un certo tipo, alcune particelle chimiche). Ogni organo lavora separatamente raccoglie l’informazione che attraverso i nervi arriva al cervello dove avviene l’elaborazione. Tutte le informazioni sensoriali procedono dai recettori periferici, attraverso il sistema limbico (che funge da sistema di smistamento dati), fino a raggiungere la corteccia cerebrale. Come tutti sappiamo ogni informazione sensoriale viene elaborata in zone della corteccia differenti (es. le informazioni visive sono elaborate nella corteccia occipitale, mentre quelle auditive in quella temporale). In realtà la situazione sarebbe più complessa ma poco ci interessa approfondire in questa sede. Quello che invece è interessante è che, dopo una prima elaborazione corticale, l’informazione sensoriale unimodale viene inviata alle aree associative, tra cui quella situata nel sistema limbico. Il sistema limbico è quell’area del cervello direttamente coinvolta nella genesi delle emozioni e nei processi di memoria. E’ possibile dunque ipotizzare che ogni volta che io percepisco uno stimolo visivo questa percezione nel momento in cui giunge al sistema limbico attivi un circuito sottocorticale (e quindi inconscio) che associa il mio stimolo visivo ad altre informazioni sensoriali precedentemente memorizzate? Ovviamente questo varrebbe per tutti gli stimoli provenienti dalle altre modalità sensoriali.
LA SINESTESIA CONSISTE NEL COLLEGAMENTO DEI SENSI
Forse non siamo allenati a prestare attenzione a questi aspetti della nostra vita mentale. Può darsi che tutti noi viviamo quotidianamente esperienze simili ma non ce ne rendiamo neanche conto perché non siamo attenti ai segnali del nostro corpo. Un altro problema è che nella nostra società il vedere spesso corrisponde con il sapere e non ci si da il permesso di conoscere attraverso altri sensi. E pensare che invece tutti noi ci sviluppiamo attraverso una fase senso-motoria e tattile-cenestesica (Piaget) prima di sviluppare quella visiva. Noi creiamo la nostra mappa del mondo attraverso altri sensi e poi subentra la vista che tutto cancella. Paradossalmente è corretta l’affermazione che “la vista ci rende ciechi”. Ci rende sicuramente ciechi rispetto a tante altre informazioni sensoriali.
LO STUDIO
Lo studio della sinestesia è complesso e molto articolato. Il termine nasce alla fine dell’ Ottocento e trova luogo di diffusione e legittimità scientifica in Francia e in Inghilterra , per indicare un fenomeno percettivo umano molto particolare che riguarda l’incontro tra i vari sensi. Proprio in questo periodo nasce la psicologia sperimentale che inizia a dedicarsi a questa manifestazione percettiva che in sostanza esplicita interconnessioni tra i sensi. Theodore Flournoy (1854-1920) è tra i primi a studiare il fenomeno fornendo una rassegna sistematica: Un certo individuo, ad esempio, esperisce regolarmente una impressione di rosso quando sente il suono a. Un altro, pensando a un numero, non può impedirsi di figurarselo sempre come un punto determinato dentro una certa curva. Un terzo concepisce involontariamente il mese di febbraio sotto forma di un triangolo. Per un quarto il lunedì è un uomo abbigliato di blu. E così di seguito, senza che sia possibile scoprire nelle esperienze passate dell’individuo la causa di associazioni tanto barocche (Flournoy, 1893, p. 1). Il termine sinestesia deriva dal greco sin = συν (attraverso) estesia = αισθησίσ (percezione) ed indica una contaminazione dei cinque sensi nella percezione del percepibile. Più semplicemente indica quelle situazioni in cui una stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi. Nella sua forma più blanda è presente in molti di noi, basta pensare a quelle situazioni in cui il contatto o la presenza di un odore o di un sapore ci evoca un’altra reazione sensoriale (la vista della frutta che viene percepita anche come sapore) ed è dovuta spesso al fatto che comunque i nostri sensi, pur essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto isolata e distaccata dagli altri. C’è da dire che la parola sinestesia nel tempo ha assunto diverse accezioni.Una è quella che abbiamo definito sopra, intesa nella sua accezione tecnica di sindrome nella quale “ la stimolazione di un senso fa scattare automaticamente una percezione in una seconda modalità senza che questa sia stata stimolata direttamente”. Nell’Ottocento era indice di una forma deviante, una sindrome, genetica o acquisita, che caratterizza un numero ristretto di persone. Da molti considerata come una patologia. Nel Novecento continua in parte questa definizione del termine sinestesia , grazie anche alla psicologia cognitivista e comportamentista che hanno accantonato il problema perché ritenuto privo di fondamento scientifico. Solo negli ultimi vent’anni lo studio sulla sinestesia dà segni di ripresa, oggi è soprattutto la neuroscienza ad affrontare il problema. Un filone di ricerca indente la sinestesia come caratteristica specifica dell’uomo. La ricerca di Marco Mazzeo ( Storia naturale della sinestesia. Dalla questione Molyneux a Jakobson, Quodlibet, 2005) ad esempio avanza un’ipotesi estrema: che la sinestesia costituisca un tratto essenziale della natura umana, che ci distingue dalle altre forme viventi sia a livello percettivo che linguistico. La questione Molyneux potrebbe essere così la prima pietra di una nuova scienza dell’umano ancora da costruire. Herder riconosce nelle capacità sinestetiche uno degli spartiacque fondamentali tra ambiente animale e mondo umano; Mazzeo sottolinea il fatto che la specie umana sia quella più sinestetica all’interno del regno animale, in quanto la meno specializzata e la più generica e che lo scarto tra animali umani e non umani sia di natura percettiva e prelinguistica: gli Homo sapiens prima di qualsiasi attività verbale sono già in grado di effettuare trasferimenti sinestetici più complessi degli altri primati. Inoltre, costitutivo della nostra specie è un carattere di cronica immaturità (neotenia) che garantisce una plasticità biologica tale da consentire una ristrutturazione sensoriale ripetuta nel corso dell’ontogenesi. Mazzeo indaga più da vicino i rapporti tra sinestesia e linguaggio sottolineando l’importanza della parola per la percezione, come già messo in evidenza precedentemente da Leibniz e Diderot. Qui, però, la fondazione non è più a senso unico: sia la parola rafforza e amplia la tipologia delle connessioni sinestetiche, sia, viceversa, è la sinestesia che si pone come la condizione di possibilità stessa del linguaggio. E il luogo privilegiato in cui emerge il legame tra sinestesia e linguaggio è individuato nell’elemento creativo della metafora.
Segnalato da Thomas T. (Alessandria)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono Thomas T...........molto bello esprime bene l idea, cala solo un po di esempi comunque molto molto bello