Dodici aprile 1970: quel giorno, si capiva, si sentiva che poteva esserci un fantastico -dicono irripetibile- premio. La classifica, del resto, consentiva l’ardito calcolo: se noi vinciamo e loro (la Juventus) perdono, siamo campioni d’Italia. Anzi, Campioni con la maiuscola
ROMA, 10 aprile - Albertosi, Martiradonna, Mancin, Cera, Niccolai, Poli, Domenghini, Nenè, Gori, Brugnera, Riva. Dodici aprile 1970, Cagliari era immersa in una domenica meravigliosamente dipinta di colori più che primaverili e tutta la città, tutta la Sardegna e qualsiasi propaggine isolana trapiantata in ogni angolo di mondo oltre il mare, guardava al tempio collocato alla fine di via della Pineta, lo stadio Amsicora. Il rito di ogni domenica, si ripeteva: famiglie che arrivavano da qualsiasi parte dell’Isola, tavolate che sbucavano da furgoni e cofani per aprirsi lungo i parcheggi (dove capitava) di viale Poetto e dintorni. Malloreddus, vino, arrosto e fil’e ferru, chi passava era invitato. Il rito iniziava di buon mattino, verso mezzogiorno si poteva entrare nelle tribune. Curva Ovest, come dimenticarla: varcato il primo (e unico) cancello, c’era un bel tratto per arrivare ai piedi della gradinata e si faceva di corsa, come se si dovesse conquistare un premio. E quel giorno, si capiva, si sentiva che poteva esserci un fantastico -dicono irripetibile- premio. La classifica, del resto, consentiva l’ardito calcolo: se noi vinciamo e loro (la Juventus) perdono, siamo campioni d’Italia. Anzi, Campioni con la maiuscola. Dopo quarant’anni restano infinite sensazioni di quel giorno, per chi c’era. Il tanto tempo passato da allora non le ha stemperate: l’intensità non è cambiata, ma si è trasformata. Da un’orgia di entusiasmo, si arriva a una dolcezza struggente, tale come le cose belle, che hanno fatto innamorare e che si sa non possono tornare. Di sicuro non con quei volti, con quei nomi. Non con gli stessi eroi. Anzi, Eroi, ancora con la maiuscola. Cagliari è una città strana, capace di calarsi insieme a tutta una regione, a un popolo, nell’avventura dello scudetto e viverla come nessun altro tifoso, altrove, potrebbe vivere né capire. Ma è anche una città che si lascia sfilare dalle mani quel potere, abdicandolo a un oblio inconcepibile poiché voluto principalmente da se stessa. Cagliari non è stata capace, in quarant’anni, di accorgersi che un grazie (magari più simbolico che concreto) lo avrebbe potuto trovare facilmente, per esempio dedicando una via o una piazza ai “Campioni d’Italia 1970”. La stessa città cincischia da un decennio, sprecato letteralmente, sul nuovo stadio che porterebbe denaro, interesse e di riflesso potenzialità maggiori per gli eredi ultimi di quel manipolo di guerrieri. A ripensarlo quel fantastico pomeriggio, si riassaporano i minuti, i secondi. Perché bisognava fare così quando non c’erano radio private, canali tv satellitari: fra un “Forza Cagliari” ritmato a voce e pestando i piedi sulle tribune in legno, c’era l’accompagnamento audio delle radioline (in ossequio ai tempi non provviste di cuffie) che rimandavano le voci dei cronisti Rai. E quando da Roma, arrivò l’annuncio del gol di Ghio, Lazio 1 Juventus 0, ore 15,39, quel sogno stava diventando reale. Cagliari e la Sardegna si stordirono di felicità per settimane, alla sfilata ufficiale qualche giorno dopo in testa una scultura di Riva orgogliosamente poggiato su un cannone a richiamare le sue virtù balistiche col pallone, partecipò un corteo di gente e di auto lungo chilometri. La statua del Re sabaudo Carlo Felice, addobbata di rossobù, uno dei tanti punti di transito. Le immagini, i visi ebbri di entusiasmo, quell’evento: difficile che si possa rivedere qualcosa di simile a Cagliari e dintorni. Chissà. Ma anche in questo c’è un lato bello e romantico, perché conferisce a quegli straordinari eroi un alone di mito che meritano in eterno. Li abbiamo amati, li amiamo tuttora: Albertosi, Martiradonna, Mancin, Cera, Niccolai, Poli, Domenghini, Nenè, Gori, Brugnera e Riva che scesero in campo al fischio d’inizio, quel 12 aprile 1970, ma anche Greatti, Reginato, Nastasio, Tomasini, Zignoli e lui, Manlio Scopigno. Fosse possibile renderlo presente, e contemporaneo, ne direbbe poche ma sentite, farebbe ombra a qualsiasi “special one” dei giorni nostri. Che straordinario Cagliari era quello.
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