Una grave minaccia incombe sulla bassa Valle dell’Omo, in Etiopia, dove da secoli vivono diversi popoli indigeni che contano circa 200.000 persone. A mettere a rischio la loro sopravvivenza è il progetto Gibe III, un’enorme diga destinata a distruggere un ambiente ecologicamente fragile e le economie di sussistenza legate al fiume e ai cicli naturali delle sue esondazioni. Iniziata alla fine del 2006, la costruzione della diga è affidata alla società italiana Salini Costruttori ed già arrivata a un terzo del totale. Sull’ambizioso e controverso progetto idroelettrico pesano le accuse di gravi violazioni delle leggi etiopi e delle convenzioni internazionali. Ciononostante, la Banca Africana di Sviluppo (AfDB) e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) hanno commissionato studi preliminari per valutare l’eventuale erogazione di un prestito. E, a breve, sia la AfDB sia la Cooperazione allo Sviluppo del Ministro degli Esteri italiano dovranno rispondere a formali richieste di finanziamento inoltrate dal governo etiope. Insieme ad altre associazioni locali e internazionali, Survival, ritiene che la diga potrebbe avere conseguenze catastrofiche su tutti i popoli della bassa Valle dell’Omo, già messi a dura prova dalla progressiva perdita di controllo e di accesso alle loro terre. L’appello rivolto ai potenziali finanziatori è quello a non sostenere il progetto almeno fino a quando non saranno stati effettuati studi di impatto ambientale e sociale completi e indipendenti, e finché non saranno state informate e adeguatamente consultate tutte le popolazioni locali coinvolte. La bassa Valle dell’Omo è un territorio di grande bellezza, in cui ecosistemi diversi si intersecano con una delle ultime foreste pluviali sopravvissute nelle regioni aride dell’Africa sub-sahariana. Ad alimentare la straordinaria biodiversità della regione e garantire la sicurezza alimentare dei suoi popoli sono le piene stagionali del fiume, prodotte dalle piogge degli altipiani. Seppur in modi diversi, tutti i popoli della valle dipendono da una varietà di tecniche di sostentamento che si alternano e completano a vicenda con il mutare delle stagioni e delle condizioni climatiche: le coltivazioni di sorgo, mais, fagioli nelle radure alluvionali lungo le rive dell’Omo, le coltivazioni a rotazione nelle foreste pluviali e la pastorizia nelle savane o nei pascoli generati dalle esondazioni. Presa singolarmente, nessuna di queste attività è sufficiente a garantire loro la sopravvivenza. Ma, nel loro insieme, riescono a scongiurare ogni avversità climatica dando un contributo vitale alle loro economie. I Bodi (Me’en), i Daasanach, i Kara (o Karo), i Kwegu (o Muguji), i Mursi e i Nyangatom abitano stabilmente lungo le sponde del fiume, da cui dipendono totalmente. Altri popoli, come gli Hamar, i Chai e i Turkana vivono più distante, ma grazie ad una rete consolidata di alleanze etniche, possono accedere alle risorse generate dalle piene dell’Omo nei momenti del bisogno, specialmente in caso di siccità e carestie. Ragazzine Hamar lungo le rive del fiume, nell’Etiopia meridionale. Le donne si dedicano principalmente ai raccolti mentre l’allevamento di capre e bovini è affidato agli uomini. Oltre a garantire alle comunità latte e sangue, indispensabili alla loro sopravvivenza soprattutto durante le transumanze, le mandrie giocano anche un importante ruolo culturale e sociale. I Bodi trascorrono ore ad osservare i loro animali e ad ammirarne valore e bellezza, e spesso compongono canzoni in loro onore. Gli uomini Hamar segnano il passaggio all’età adulta scavalcando con un balzo una lunga fila di bestiame. Le vacche costituiscono la dote principale degli sposi anche per i Kwegu che, pur vivendo principalmente di pesca, caccia e raccolta del miele, quando si sposano possono contare sulla donazione di capi di bestiame da parte dei Mursi o dei Bodi. Anche se cooperano ed effettuano scambi commerciali, tra alcuni di questi popoli si verificano periodicamente dei conflitti per l’utilizzo delle scarse risorse naturali. Con la progressiva sottrazione di terre da parte del governo, la competizione è andata crescendo e l’introduzione delle armi da fuoco ha reso i litigi più pericolosi di un tempo.
lunedì 5 aprile 2010
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