venerdì 20 novembre 2009

La scomparsa del Lago Aral

Un deserto infuocato di giorno e gelido di notte, città fantasma, scheletri di barche affondati tra fango e sabbia, venti salati e tempeste di sabbia, aria irrespirabile, villaggi abbandonati. Così appariva fino a pochi anni fa il lago d’Aral. Dal più grande mare d’acqua dolce al mondo, esteso quanto l’Irlanda, alla più grande catastrofe ecologica dell’era moderna. (nella foto: l'evoluzione negativa del lago). Tutto in pochi decenni: quelli dell’economia pianificata dell’Urss, quando l’Asia centrale sovietica diviene terra di sfruttamento. Riso e cotone: Mosca va contro natura, devia i fiumi che alimentavano il mare chiuso per irrigare le enormi piantagioni a monocoltura. L’Aral si prosciuga del 90%, una striscia di pozze d’acqua isolate. Nel 1996 è ridotto a un quarto delle dimensioni originarie, gli abitanti emigrati in massa. Per gli scienziati dell’epoca è “un disastro irreversibile”. Ma oggi qualcosa sta cambiando, e c’è chi parla di “miracolo”. Quello che ha fatto tornare le acque a lambire Aralsk, il porto sul lago che era finito a 100 km di distanza dalle rive, ritiratesi progressivamente (l’Aral aveva cominciato a seccarsi già negli anni 60): oggi si avvicina di nuovo, mancano 25 km, ogni giorno meno. I pescatori tornano a gettare le reti, nei ’90 sopravviveva un’unica specie ittica, oggi sono16. La superficie è aumentata di un terzo, risale il livello, torna a piovere, spira una lieve brezza. Volano pellicani e gabbiani, aperto uno stabilimento ittico che esporta i suoi prodotti in Russia e Ucraina. Merito di un progetto congiunto tra Banca Mondiale e governo del Kazakhstan, che dal 2001 ha coinvolto esperti e scienziati da tutto il mondo, e persino Onu e Nato. Dal 2005 la nuova diga di Kokaral, 13 km, 88 milioni di dollari (260 il progetto complessivo), fa confluire sul lato nord del Piccolo Aral le acque del fiume Syr Darya, che prima si “perdeva” scorrendo a sud. Già nel 2006 la situazione migliora, oltre le più rosee previsioni. “Un’idea geniale” ammette persino Mosca, che dopo il crollo dell’Urss aveva provato ad avanzare qualche proposta per salvare il lago, restata sulla carta: convogliarvi le acque della Siberia occidentale, oppure ridirigere il corso dell’Amu Darya, il secondo ex affluente dell’Aral che scorre in tutti gli stati dell’Asia centrale ex sovietica, incluso l’Afghanistan, oggi indipendenti. Il miracolo, però è solo parziale: riguarda unicamente il lato nord del lago, di proprietà del Kazakhstan, oggi uno dei paesi più ricchi al mondo di gas e petrolio. Dall’altra parte, a sud, c’è l’Uzbekistan, lo stato più popoloso della regione, e il più inquinato: dove continua la coltura intensiva del cotone, cui si aggiungono le prospezioni proprio sotto il fondo esposto dell’Aral, per cercare combustibili. Tashkent ha già rinunciato a salvare la sua fetta di mare, che è la più ampia: tre quarti del totale. Immagini satellite scattate a gennaio mostrano in questa zona una diminuzione dell’80% solo negli ultimi 3 anni. Difficile essere ottimisti.

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